ASPETTANDO GODOT: OVVERO IL GIOCO DEL BUON
SENSO E DELLA LOGICA ICOERENZA.
(… mentre voi lo aspettate, io vado a cercarlo.)
CERCANDO GODOT UN’ATTESA INASPETTATA.
PRIMA
STANZA.
“Andiamocene.
Non
si può.
Perché?
Aspettiamo
Godot
Già,
è vero. (Pausa). Sei sicuro che sia qui?
Cosa?
Che
lo dobbiamo aspettare”.
(Aspettando Godot, Samuel Beckett,
Teatro, Einaudi ET, Torino)
"Avete
sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del
mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio!
Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non
credevano in Dio, suscitò grandi risa.
“È
forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un altro.
“0ppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” – gridavano
e ridevano in una gran confusione."
(La
gaia scienza, aforisma 125, F. Nietzsche, Opere, Adelphi PB, Milano)
IO.
Avrei potuto esordire così, con il gigantesco Nietzsche nel suo "La Gaia
Scienza": infatti ho esordito così, con il gigantesco Nietzsche nel suo
"La Gaia Scienza". /compiaciuto/
OI.
L'incipit è noto.
IO. /legge con enfasi/ Vladimiro ed Estragone stanno aspettando su una desolata
strada di campagna un certo "Signor Godot" - /Vladi ed Estra
sono anche chiamati: Didi e Gogo /.
Secondo gli studiosi più accreditati l’opera teatrale[1], più rilevante e significativa, di Samuel Beckett, sarebbe
proprio “Aspettando Godot” –
OI. /con un sospiro/ Beati
loro, a me, talvolta, non riesce neppure distinguere il significante dal
rilevante.
IO. Aspettando Godot è opera drammatica, costruita intorno
alla condizione dell'attesa, in un continuum tra giochi linguistici ed intenzionali rimbalzi
semantici dei significati.
OI. Quindi, a
sentir loro, gli “accreditatissimi”,
il tema del dramma sarebbe costruito intorno alla condizione dell'attesa,
mentre dal punto di vista dell’analitica del testo emergerebbero, di volta in
volta, giochi linguistici e rimbalzi semantici intenzionali, rispetto alle
significanze[2],
più o meno espliciti?
IO. Ci arriviamo, dammi fiato. Dunque dicevo: se le cose
stanno così i nostri Didi e Gogo, e noi con loro, saremmo più che legittimati a
starcene seduti in attesa: ma in attesa di che o, in questo caso, di chi? /alzando interrogante gli occhi al cielo/
OI. Beh, di Godot, è ovvio!
IO. Ovvio? Sei sicuro che sia davvero così? Se si, come fai
ad esserne sicuro e a partire da cosa lo sei? Voglio dire, stanno davvero in
questo modo le cose, “come questo
ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso”? … /tra
sè e sé ma ad alta voce/ Per la verità sto cominciando a crederlo
anch’io.
OI.
Dio!, punto.
IO.
No, no, no, Dio non è stato punto da nulla, almeno credo che non lo sia stato;
il punto, appunto, è che, a guardar bene, in Inglese “God” significa Dio,
mentre "dot" si traduce con "punto".
OI.
Tu dici?
IO.
Ma certamente! Quindi ho ipotizzato che Beckett, in questo modo, abbia
volutamente, almeno così io credo, lasciato libera interpretazione
sull'identità di Godot, tanto per far impazzire i golosi.
OI.
E questo cosa c’entra?
IO.
C’entra, c’entra. Dato che, a me così risulta, il nostro Samuel, perfettamente
bilingue, aspettando Godot lo scrisse in francese, come tutti i suoi capolavori
del resto, noi siamo letteralmente autorizzati, senza alcuna idiosincrasia
retorica, tipica dei critici rompicoglioni di sinistra, a sbattercene le pagine
sul tavolo, come pugni tesi nelle tasche rotte, e concederci alla libera
lettura del testo.
OI.
Cogito, ergo…?
IO.
/con un
poco di retorica /
Se è vero che il suffisso "ot", in francese, vuol dire a sua volta
"piccolo", dando così un'ulteriore caratteristica al Dio del quale si
questionava poco più sopra, noi possiamo saltellare di qua e di la nel testo,
non senza un impudico compiacimento, nel modo che più ci aggrada.
OI.
Bilocazione letteraria dunque: olé, olé, olé.
IO.
Tempo fa ho letto, solo perché lo so fare, che in un'intervista, Beckett
stesso, respingeva categoricamente questa lettura del suo Godot: “… non avevo alcuna intenzione di
riferirmi a Dio.”
OI.
Ecco, vedi!
IO. Balle!, amico mio, balle!
Piccolo o grande che sia qui Dio c’entra come i cavoli a merenda /pausa,
alza lo sguardo perplesso al cielo/; per inciso mangiare
i cavoli a merenda è arbitrario tanto quanto non farlo, pertanto io, del tutto
arbitrariamente, Dio, ce lo faccio entrare, come il punto sulle ¡ e la dieresi
sulle Ö.
OI.
Io non ti capisco; anzi, io non ci capisco più niente!
IO:
Ma è ovvio, dai!, a questo punto il divertimento del Beckett, naturalmente a
danno di noi poveri lettori comuni, consisterebbe nel far emettere, ai
dottissimi interpreti del suo pensiero, giudizi, sentenze e amenità metafisiche, sulle
intenzioni ultraesistenziali dell’uomo comune in rivolta, che non sa neppure di
sé, del tipo: “L'autore voleva sottolineare la frustrazione dell'uomo nel
suo tentativo fallimentare di "muoversi", procedere, cambiare la sua
posizione…”, e che a me, d’altro canto, fa scrivere che l’uso della parola "Godot",
nella forma crastica dalle
due parole, "go" e "dot", cioè "va" e
"fermo", poiché "dot" in inglese è "punto", che
Go+d+ot spiegherebbe l’intenzione del Beckett di parlare di Dio per bocca dei
suoi protagonisti.
OI.
Con tutto quel che segue.
IO.
“Hai letto la Bibbia?”
OI.
“La Bibbia?... Mi pare d’averci dato un’occhiata qua e là, una sbirciatina,
giusto per …”
IO.
/interrompendolo/ Vedi!, è proprio questo il punto.
OI.
/con ironia/ E la virgola?
IO.
A dire la verità, posto che la verità si lasci esaurire nel linguaggio, a me
pare che parli dell’uomo, piuttosto che di Dio; tuttavia non sono in grado di sostenere
che, in definitiva, lo faccia, come abbiamo detto prima, per sottolineare la
frustrazione dell’uomo nel suo tentativo fallimentare di muoversi, procedere e
cambiare la sua posizione, ma piuttosto senta l’esigenza d’interrogarsi interrogandoci
…
OI.
Interrogarsi interrogandoci? E per quale motivo sentirebbe l’esigenza di farsi
delle domande, o di farle a qualcuno?
IO.
Per un fatto di logica incoerenza.
OI.
Logica incoerenza?, ma non ha senso!
IO.
Questa è buona! Appunto, vedi?, la questione sta proprio qui, nella incoerenza
della sua logica ferrea e rigorosa, ma piena di buon senso.
OI.
Fammi prendere fiato e ricominciamo daccapo.
IO.
Niente da fare!, dobbiamo procedere oltre, non possiamo ricominciare: è
impossibile.
OI.
Ti prego, si ragionevole …
IO.
No!, cioè si, riprendiamo la “lotta”, e bada bene che non abbiamo ancora
neppure cominciato a scalfire la questione.
OI.
/rassegnato/ Va bene, ti ascolto.
IO.
C’è un passaggio all’inizio del primo atto dove Estragone dice a Vladimiro: “Si
può sapere dove il signore ha passato la notte?”, e Vladimiro risponde: “In
un fosso.”
OI.
Attento!, certi pensieri sono troppo per un uomo solo; comunque va avanti,
cominci ad incuriosirmi.
IO.
D’altra parte a che ti servirebbe scoraggiarti?
OI.
/minaccioso/ Vuoi farmi inquietare!?
IO.
D’accordo, d’accordo! Ecco qui cosa ho pensato: la domanda che, non senza una
certa freddezza, l’uno rivolge all’altro e che sembra posta con un tono che
tradisce una sensibilità risentita, chiede della distanza siderale che li ha
separati quando erano ad un passo dal lanciarsi nell’abisso.
OI.
/tra l’ironico ed il sarcastico/ Si, come no!, dalla
Torre Eiffel e, magari, tenendosi anche per mano.
IO.
Infatti! Se solamente non m’interrompessi continuamente capiresti cosa sto
cercando di dire; ricordi, a poche righe dall’inizio del primo atto, dopo la
pausa di silenzio che segue il “… dove Vostra Altezza ha passato la notte?”?
OI.
/nell’atto di pensare/ Mi pare di ricordare
qualcosa … Maledizione!, questa scarpa mi duole … /nell’atto
di levarla/
IO.
Ma che fai?, ti sembra il momento? Bah! Non importa, andiamo oltre; stavo
dicendo che Didi e Gogo erano ad un passo dal lanciarsi nell’abisso ma sono
stati trattenuti.
OI.
/sotto voce/ Peccato! E da chi?/togliendosi
la scarpa e fissandola nell’interno/
IO.
Credo dai pensieri della gente perbene.
OI.
/alzando la testa verso IO con aria inquisitiva/
Della gente perbene? Ma che significa “dalla gente per bene”?
IO.
Gli uomini comuni, quelli che se la prendono sempre con qualcuno quando la
colpa è di qualcun altro; quelli che si lamentano sempre delle cose che vanno male
ma vi è, infine, sempre un interesse profondissimo in ogni epoca della storia
dell'uomo a che le cose vadano alla malora: e chi vorrebbe mai uscir fuori
dalla propria malattia!?
OI.
/tra se e se/ La cosa comincia a preoccuparmi. /ad
alta voce/ Forse qualcuno che ha voglia di farsi quattro
passi, qualcuno che conservi ancora un briciolo di buon senso.
IO. Non
ti capisco, non potresti essere più chiaro? Lasciamo stare. Te li ricordi
i Vangeli?
OI.
/ridacchiando sotto i baffi/A giorni alterni ed
intervalli dispari.
IO.
/guardandolo con fastidio e sospetto/ Be’!, per
sicurezza te li racconto lo stesso.
OI.
/guardandolo divertita curiosità/ Tutti, tutti?
IO.
/sempre più irritato/ Non sei per nulla
spiritoso, amico mio.
OI.
/ridacchiando/ E chi vuole essere spiritoso!?
IO.
Se è vero che il nostro autore voleva parlare di Dio senza farsi troppo
scorgere, lo fa in maniera magistrale ed anche un poco subdola /quest’ultima,
fingendo di pensare, ad alta voce/
OI.
/continuando a fissarsi la punta dei piedi/
Perché subdola?
IO.
Te lo dico: subdola perché è dall’abisso dell’inferno che fa recitare la
parte, a Didi e Gogo, dei due ladroni!
OI.
/inquisitorio ma distratto/ Quali ladroni?
IO.
Basta!, io me ne vado! /fa per andarsene/
OI.
/cercando di sdrammatizzare/ Dai, andiamo,
andiamo, bisogna rilanciarti la palla, di tanto in tanto.
IO.
/si ferma/ Va bene, ma non accetterò altre
provocazioni d’ora in avanti.
OI.
D’accordo, d’accordo. /a bassa voce e sospirando/
Terribile sacrificio!
IO.
Dunque…, due ladroni, crocifissi assieme al Salvatore; è da qui che parte lo
spunto per parlare di Dio, dell’attesa, della Morte, della morte dell’uomo,
della sua salvezza e della sua condanna… /fissando la sua ombra/…almeno
credo.
OI.
/inebetito o fingendo di esserlo/ Và avanti, ti sto
ascoltando.
IO.
/simulando timore reverenziale/ Si? Non ti sto
annoiando?
OI.
/simulando interesse/ No-no, anzi.
IO.
E poi c’è l’Albero.
OI.
/sorpreso si guarda attorno/
Albero, quale albero?
IO.
Quello biblico, che è metafora dell’Albero della Vita e della Morte ed anche di
quello della Conoscenza del bene de del male. /come ispirato/
E’ proprio li che, Didi e Gogo, stanno aspettando Godot, è la condizione per
incontralo: aspettarlo davanti all’albero.
OI.
Qui di alberi però ce ne sono due. /tra se e se/
ed uno è di troppo, mi pare.
IO.
Certo! Sta anche qui il gioco della logica incoerenza: nel riportare il due
all’uno e l’uno al due.
OI.
Tombola!
IO.
/indispettito/ Avevi promesso di smetterla con
l’ironia.
OI.
/alzando le mani in segno di resa/ Scusa, scusa, però,
pensandoci bene, l’albero e la pietra non sono simboli pagani?
Io.
Che cosa vorresti dire?
OI.
Mi ricordo che ad un certo punto del primo atto dopo la discussione sui Vangeli
e dopo aver discusso dell’albero...
IO.
/interrompendolo/ Si, hai proprio ragione è proprio
così, l’Albero e la Pietra sono simboli, sono rimandi espliciti a…
OI.
Beh, io veramente non alludevo a nessun simbolo, dicevo così per dire, per
vedere se la mia memoria era ancora buona …
IO.
/agitato e rosso in viso/ Oh, insomma! Vuoi
piantarla d’interrompermi e lasciarmi parlare!?
OI.
/piagnucolando/ Sei spietato e crudele.
.
IO.
Ti prego, per l’ultima volta, lasciami continuare il ragionamento senza
interrompere.
OI.
/rassegnato/ D’accordo, ti ascolto.
IO.
Ripartiamo dai Vangeli, come ben sai sono quattro e solo in uno di questi si
parla dei due ladroni, perché Didi ad un certo punto se ne salti fuori con
questa storia dei ladroni dei Vangeli…?
OI.
Ah, io non lo so proprio.
IO.
/guardando torvo il suo interlocutore ma continuando a parlare/
E’, appunto, quel che stavo per dire. Credo che Beckett abbia voluto,
appositamente, disseminare d’indizi il suo “dramma dell’abbandono e
dell’attesa” a partire proprio dall’apparente casualità dei rimandi simbolici
tipici della tradizione biblica.
OI.
Però, chi lo avrebbe mai detto, salvati dall’inferno.
IO.
Chi?
OI.
Come chi, i due ladroni! /pausa/ Non avevi detto così?
IO.
No, avevo detto che c’è una gran confusione nei Vangeli perché non tutti gli
evangelisti parlano di questo fatto: due lo omettono, un altro dice che tutti e
due lo hanno insultato e l’ultimo dice che solo uno si è salvato.
OI.
/rimirando la scarpa che ha in mano/
Effettivamente è un gran bel pasticcio. E la gente che dice?
IO.
La gente è troppo cretina, non sa quel che dice e non sa neppure quello che fa;
ha sempre una doppia vista a seconda di quello che le conviene. Questo
carattere transitorio degli uomini mi ha sempre infastidito, sino allo
sfinimento.
OI.
Non ci pensare, la doppiezza nell’azione umana è proprio il riflesso del suo
carattere transitorio.
IO.
/muovendosi nervosamente /
E’quel che ho detto.
OI.
/muovendosi verso IO/
E poi, lascia proprio che te lo dica, a me i due ladroni non sono mai piaciuti.
Troppo attaccati alla vita, /alzando il tono della voce/
mi sa che è per quello che li hanno crocifissi!
IO.
/lo guarda basito/
Credo che invece il motivo sia un altro.
OI.
E quale, di grazia?
IO.
Credo sia stato per la loro doppiezza, intendo dire che se è vero che il doppio
è da sempre la metafora dell’anima, era inevitabile che arrivassero sulla
soglia limite del qui e del là.
OI.
Un poco come noi due.
IO.
Che intendi dire?
OI.
Oh, soltanto che non siamo ancora venuti a capo di nulla del tuo ragionamento
iniziale, insomma io non ho ancora capito se poi aspettare Godot è servito a
qualcosa.
IO.
Già, è vero.
...continua
[1] Aspettando
Godot, da
molta critica teatrale è stata, a lungo,
considerata l’opera più significativa
del teatro del secondo Novecento.
[2]
La significanza è una nozione legata alla teoria letteraria.
Secondo il teorico Michael Riffaterre, all'interno di un testo
letterario, ogni singola parola interagisce con le altre nel contesto per
creare un effetto di senso,
appunto una significanza. Dunque
l'unità di senso del testo non sarebbe
data dalle singole parole ma da tutto il testo e le parole perderebbero la loro
referenzialità che invece hanno nel linguaggio
comune, ordinario. A seguito di ciò si crea una
sostanziale differenza tra linguaggio comune e linguaggio della
letteratura.
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