martedì 17 novembre 2015

TIM COOK E L'ECONOMIA 0.PIRLA (si legge: zero punto pirla), ovvero l'estensione circolare del dominio e della manipolazione sull'ethos

TIM COOK E L'ECONOMIA 0.PIRLA (si legge: zero punto pirla), ovvero l'estensione circolare del dominio e della manipolazione sull'ethos

"Lettore!, se nel leggere questo post ti sentissi, via via, direttamente interpellato, coinvolto a qualsiasi titolo o ragione e moralmente chiamato in causa, molto probabilmente è così. Nel caso poi ti venisse prurito da qualche parte per l'irritazione, beh!: gratta pur dov'è la rogna. 
INCIPIT TRAGOEDIA
«Non siamo qui per far soldi, ma per lasciare il mondo migliore di come lo abbiamo trovato». Tim Cook (S. Jobs)
Quella che avete letto qui sopra è una delle tante "perle di saggezza" che Tim Cook ha dispensato, giusto uno schizzetto di giorni fa, presso l'affollatissima aula magna della università Luigi Bocconi, al suo "popolo adorante" accorso numeroso per assistere al gran varietà "religioso" della nuova chiesa "Economia 0.pirla", il quale, sguardo mite del bovino e fauci spalancate (se non vale per la totalità dei presenti, vale sicuramente per la grande maggioranza), s'apprestava a deglutire  il mare magma delle "banalità del male" (questa l'ho rubata alla Arendt) dispensate dal presidente-messia di Apple.  https://youtu.be/sdMvKJ1TE4g fonte UniBocconi
1.In principio era la lingua.
Leggendo l'articolo (naturalmente mi sono preso il disturbo di leggere anche altro) pubblicato il 10 novembre u.s. su La Stampa, dopo il titolo, che qui di seguito riporto «Non siamo qui per far soldi, ma per lasciare il mondo migliore di come lo abbiamo trovato», mi sono imbattuto in un ossimoro meraviglioso, ecco il testo in grassetto:  "Preceduto dai discorsi del presidente della Bocconi Mario Monti (l'uomo che altrove ha dichiarato, da Presidente del Consiglio dei Ministri, che la Grecia era la "...manifestazione più concreta del successo dell'euro" la nota è mia - https://youtu.be/hHqM1-hhCvA  ) ... Cook ha parlato per una ventina di minuti scarsi, leggendo il suo intervento da un iPad Pro (che sarà in vendita!!! questo fine settimana)"...che sciocchino (leggi pirla) che sono!, io avevo capito che non fosse venuto qui per far soldi. - http://goo.gl/hDSNaa  fonte La Stampa
N.B.:L'ossimoro, come è noto, consiste in una divergenza di senso e nel nostro caso in una palindromia eterotopica.
2.Un leader carismatico.
Cook è un leader carismatico, come dubitarne?; perfetta incarnazione di ciò che Max Weber credeva fossero le condizioni ottimali per l'avvento di una tale potente figura. Perché, a sentir lui, Max,  l'avvento del leader carismatico è legato alle condizioni sociali vigenti, e più in generale a particolari periodi di miseria psichica, economica ed etica: la nostra per l'appunto.
Ecco, dunque, che il leader sarebbe, vado a spanne, una personalità esemplare, attento ai cambiamenti (un annusatore dell'aria che lo circonda), capace di assumere i rischi ed esporsi al pericolo, dotato di una visione del mondo e disposto a metterla in atto: INSOMMA UN FIGO PAZZESCO!
Così figo, "diretto e veloce" che quello che s-fugge non è solo la vuota e insensata somministrazione di retorica che, con studiata parsimonia, il  CooKone di Cupertino dona ai suoi chierichetti, ma sfugge pure che la forma estetica della retorica, di cui dispone Tim, non lascia spazio all'etica: qui siamo di fronte al trionfo assoluto dell'estetica sull'etica! (Invece sul significato etimologico del termine comunicazione leggetevi, eventualmente,  Montaigne, capitolo VIII volume terzo dei Saggi, "Dell'arte di conversare").
Il tipo di società che  il Cook celebra (il poveretto, credendo di dirigere il coro dal di fuori, non si avvede che anche lui sta dentro questa celebrazione con tutte le sue operazioni), con sofisticato artificio e con sottile compiacimento (quanto ci gode!) è una società che tende a celebrare i sofismi tipici del management, la comunicazione stessa cambia costantemente forma (nel caso di una eventuale obiezione del pensiero critico si verrà rimproverati perché o si è sempre fraintesi o si voleva dire sempre altro), questo continuo, istrionico, rimbalzo del dire è la manifestazione più evidente della volontà di rendere disponibile e credibile il paradigma che celebra, sempre e comunque, declinando però al plurale, l'individuo padrone di se, che nutre la massima fiducia in se stesso e non si lascia influenzare dagli altri (libero e padrone purché si sottometta, alle regole del gioco altrui): “E’ possibile esprimere i propri valori nel lavoro che si svolge. Se riuscite a infondere valore con il vostro lavoro riuscirete a rendere il mondo un posto migliore. L’azienda giusta è quella che lascia un segno nel mondo. Io l’ho trovata nella Apple, e oggi sono grato di far parte di un’azienda che fa qualcosa di più utile del semplice profitto. Noi alla Apple vogliamo fare il miglior lavoro nella nostra vita: questo è il modo per identificare i nostri valori nei prodotti, prodotti rivoluzionari che permettono alle persone di fare cose che non hanno mai fatto in passato, prodotti che effettivamente collegano le persone e che cambiano tutto”http://goo.gl/XCLMlo fonte La Stampa
Ma i valori di chi!? Quali valori!? Cook non lo sa ma il concetto o nozione di valore morale, che è strettamente correlato a quello di persona (la morale è la forma etica del soggetto, è il suo ethos"), appartiene solo ed esclusivamente all'esercizio della libera volontà di ogni donna e di ogni uomo, i quali possono esprimerli, nel mondo, senza bisogno di lavorare per la Apple o qualsiasi altra azienda; perché i valori della persona non si esprimono facendo il miglior lavoro della vita in Apple, al fine di identificare quei valori con i suoi prodotti (ovvero essere disposti ad accettare valori morali, contenuti nei codici etici aziendali, decisi e codificati secondo il maggior utile dell'azienda: leggeteli quei codici!, capirete bene cosa intendesse Nietzsche con l'espressione "morale per gli schiavi"). http://goo.gl/CF6GZK fonte La Stampa "I dipendenti degli Apple Store a Tim Cook: i controlli nelle bose sono umilianti".
3.E via di saponetta.
Il punto è che Cook (non solo lui naturalmente) è convinto che il lavoro sia sinonimo di profitto, non esiste, per quelli come lui, un fare dell'uomo che sia lavoro senza generare profitto da convertire in azioni finanziarie, cioè debiti da vendere e rivendere senza limiti, infatti per lui è fondamentale non perdere mai  l’idealismo (?), conservare i propri valori (?) e la propria passione (?), perché «L’ambiente degli affari, le università, sono luoghi di competizione. Ma io ho capito che c’è un’altra possibilità, collaborare. I compagni di università con cui l’ho fatto, dal primo giorno di università alla Duke, ora sono tutti in posti di leadership»: ecco appunto! - http://goo.gl/jhjZOJ fonte La Stampa
Se fosse ancora vivo il Principe Antonio de Curtis alias Totò, un uomo che ragiona così, lo spernacchierebbe senza tregua seppellendolo (potrei fare memoria del grande Pasolini sui concetti di "progresso" e "sviluppo" ma mi limito a linkarlo(come parlo digitale!) - https://youtu.be/og05K5XTHMI ), e quindi, di limite in limite, mi appresto a ricordare che il grande economista inglese J. M. Keynes, col suo aplomb, liquiderebbe Tim, all'incirca come segue: "Le idee degli economisti (per estensione gli uomini alla Cook) e dei filosofi politici, così quelle giuste come quelle sbagliate, sono più potenti di quando comunemente si ritenga. In realtà il mondo è governato da poche cose al di fuori di quelle. Gli uomini della pratica, i quali si ritengono affatto liberi da ogni influenza intellettuale, sono spesso schiavi di qualche economista defunto (anche vivente aggiungo io). Pazzi al potere (gli uomini della leadership di Cook!), i quali odono voci nell'aria, distillano le loro frenesie da qualche scribacchino accademico di pochi anni addietro."
Qualcuno, altrove (la fonte è del tutto superflua), si è preso il disturbo di scrivere che "Tim Cook in uno dei momenti più emozionanti del suo discorso ha detto:  « Speak Up! Fate sentire la vostra voce. Il mondo non è mai stato così connesso come in questo momento. Non ci sono mai state così tante opportunità di far sentire la vostra voce...", purché la vostra voce coincida con quella dellazienda giusta, quella che lascia un segno nel mondo, affinché il modo si identifichi nei valori e nei prodotti rivoluzionari che permettono alle persone di fare cose che non hanno mai fatto in passato. Appunto.
Salute dunque e buon iPad Pro vi faccia.
Alessandro Tesini

domenica 21 giugno 2015

ASPETTANDO GODOT: CANTANDO E DANZANDO SENZA LIMITI. TERZA STANZA

Terza stanza.
CANTANDO E DANZANDO SENZA LIMITI!
N(eutro) N(arrante). Quasi sull’abisso ora, camminano, in cerca di riposte attese, e ancora transitando, circondati dal silenzio e nel silenzio, con fare amichevole, si ri-vela loro, tra parole che danzano, tra rami scrigno verde, un Qoèlet, un predicatore dal volto brunito e sanguigno, il cui labbro al suo bacio raccoglie e morde il ricamo squisito di rossi fogliami.
IO. A Godot? Legati a Godot: che idea!
OI. Certo! Vedi che…

Qoèlet. Benvenuti amici.

IO. /girandosi verso OI/ Dici a me?
OI. /sorpreso/ Prego?
Qoèlet. /ancora/ Benvenuti!
IO e OI. /intimoriti a Qoèlet/ Ci hai spaventati. /sottovoce ad OI/ Ho creduto fosse lui.
OI. Chi?
IO. Godot!

Fragorosa risata di Qoèlet.

Qoèlet. Mi fareste ridere se non fosse proibito: io sono Qoèlet!
IO. /rivolto ad OI e sottovoce/ Come proibito, ma se ha riso con fragore!?
Qoèlet. E voi, miei cari amici, le vostre prerogative?

Pausa. Rimangono immobili, le braccia ciondoloni, il mento sul petto, le ginocchia piegate.

IO. /intimorito/ Le abbiamo perdute.
OI. /seccamente/ Le abbiamo buttate via.
IO e OI. /intimoriti ma spavaldi/ Forse vostra Eminenza intende far valere le sue prerogative?
Pausa di silenzio.

OI. /ad IO/ Non sento niente.
IO. Ssssssss! /Tendono l’orecchio. OI perde l’equilibrio e quasi cade. Si aggrappa al braccio di IO che barcolla. Rimangono in ascolto, stretti l’uno all’altro, gli occhi negli occhi/. Nemmeno io.
Qoèlet. Bene dunque, ascoltate!

Pausa. Rimangono in ascolto, grottescamente rigidi.

Qoèlet. Vanità delle vanità, tutto è vanità. Quale guadagno viene all’uomo per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole? Una generazione se ne va ed un’altra arriva, ma la terra resta sempre al stessa[1]; all’ombra, nella dimora dei cani, piccoli e rari oggetti meticolose dita accompagnano nelle credenze della fede comune.
Ma il sole sorge e sempre tramonta là dove rinasce; là dove il dio sognante, per poter giungere ad una comprensione razionale dei sui fenomeni, riscattare deve il mondo da ciò che appare.
Rare, rare son le strade dove ancora il suo sorriso trema per le foglie, riso d’un volto sanguigno e brunito;
ride e trema il suo antico labbro tra i rami, scrigno verde, che al suo bacio raccoglie e morde il ricamo squisito di rossi fogliami.


IO./sotto voce a OI/ Questo è matto, andiamocene!

OI. E dove? Non vedi che ci sbarra la strada?

IO. Credi davvero valga la pena d’aspettare?

OI. Mettiamolo alla prova. /rivolgendosi al Qoèlet/ Dunque, chi sei tu che ci parli in questo modo, e come sei venuto a noi? Come un guasta feste o come un dio?

Qoèlet. /con lo sguardo oltre i due astanti/ Dio ... vecchia anima nelle trecce di spighe in cui fermenta il grano! Serenità in calma profonda, fiore d’inchiostro sulle dita gonfie, come polvere bollente, come voli ... Dio! e poi dicon: Cristo!, bagascia e soldato!, pensionato!, croce e impero!, nullità!, /pausa/ moderna e sempre in voga autorità, doganiere di vecchie colombaie.

Silenzio.


N(eutro) N(arrante). Il silenzio è d’oro e spalanca sepolcri!

Qoèlet. Io sono l’avvocato di Dio davanti al diavolo, sono occhi profondi dove dormono le navi che affondano.

OI. IO, io ho paura, mi tremano persino le scarpe. /accenna ad andarsene/

IO. /ironico/ Lo sento dall'odore.

OI. /fa per andarsene ma OI lo afferra per un braccio/ Lasciami andare!

IO. /pausa/ Aspetta, resta dove sei.

OI. /sottovoce/ Qui si mette male.


N(eutro) N(arrante). OI ed IO riprendono coraggio a poco a poco, cominciano a girare intorno a Quelet, lo scrutano da tutti i lati.


IO. /tra di loro/Proviamo a dirgli qualcosa.

OI. Cosa?

IO. Vive da queste parti?

Quelet. Ci sono nato.

OI. Non vorrei essere indiscreto, ma lei, scusi, che età ha?

Quelet. Lei vuol forse alludere a qualche cosa di particolare?

IO. Ha un aspetto molto giovane ma è saggio e profondo come un vecchio, quindi pensavo che lei, signore potesse…

Quelet. /interrompendo IO/ Mi avete scambiato per Godot.

OI. Oh, no, signore, nemmeno per un momento, signore.

Quelet. Ditemi, dunque chi è questo Godot, per il quale non mi avreste scambiato?

IO. Ecco, vede, è un … vecchio conoscente.

OI. Ma no, cosa dici, lo conosciamo appena.

IO. E’ vero, non lo conosciamo molto bene, però…

OI. Io, per me, non sarei capace di riconoscerlo, se lo vedessi.

Quelet. Tuttavia mi avete scambiato per lui.

IO. Il fatto è, capisce, … l’oscurità, … la stanchezza, … la debolezza della vista, … l’attesa,… lo confesso, l’ho creduto per un istante che lei, insomma potesse essere lui.

OI. Non gli dia retta, signore. Non gli dia ascolto!

Quelet. L’attesa. Dunque lo aspettavate!?

IO. Ecco, veramente, … si, lo aspettavamo.

Quelet. Qui? Sulle mie terre?

OI. Non pensavamo di far male.

IO. L’intenzione era buona.

OI. Questo ci dicevamo.

IO. E’una vergogna ma è così.

OI. Non è colpa nostra.

Quelet.  /tirando una corda/ C’è un filo di frescura nell’aria questa sera. Cari amici sono felice di avervi incontrati.
Vi dirò, amici miei, che non posso fare a meno per molto tempo della compagnia dei miei simili; anche quando mi rassomigliano imperfettamente. Ecco, dunque, perché mi tratterrò con voi un momento, se non vi dispiace, prima di proseguire oltre il mio cammino. E per ricompensarvi della vostra amicizia vi racconterò una storia, vi racconterò delle gambe di Socrate e della dimora dei cani.
Quelet. /con cenno della mano/ Muoviamoci dunque, verso la montagna.

N(eutro) N(arrante). Ed essi mossero come corpi vivi che transitano.
continua










[1] Qoèlet, > 1,1-3. Antico Testamento, La Bibbia di Gerusalemme,  ed. EDB – La Bibbia, Nuovo Testo Cei ed. San Paolo 





[1] Qoèlet, > 1,1-3. Antico Testamento, La Bibbia di Gerusalemme,  ed. EDB – La Bibbia, Nuovo Testo Cei ed. San Paolo 








[1] Qoèlet, > 1,1-3. Antico Testamento, La Bibbia di Gerusalemme,  ed. EDB – La Bibbia, Nuovo Testo Cei ed. San Paolo 

venerdì 13 febbraio 2015

NESSUNO USCIRA’ VIVO DA QUI … OVVERO COME HO LETTO, TRA LE RIGHE, L’INTERVISTA ALLA MOLTO ONOREVOLE FILOSOFA MICHELA MARZANO.



Non so se puntualizzare l’ovvio sia sempre un bene; ma, nel caso in cui lo fosse, in che senso lo sarebbe un bene?

Partiamo dal principio, altrimenti corriamo il rischio di non trovare nemmeno la coda.

Il principio era la mano, la mia, che attenta, giudiziosa e con dita delicate, raccoglieva i quotidiani che avevo deciso di leggere in treno, la mattina di giovedì 5 febbraio u.s., durante il mio viaggio di ritorno verso casa: Corriere della Sera, Il Foglio ed Il Fatto Quotidiano, giornale che non amo ma che leggo con regolarità (chi se ne frega! esclamerete voi; frega a me!, esclamerò io).

Sfoglio per primo il #CorriereFoglioFatto, per deformazione mentale, leggo contemporaneamente più quotidiani o libri, sono abituato così, sin da bambino, e fino a che l’Alzehimer non deciderà di farsi una vacanza presso il sottoscritto credo che procederò come indicato poco più sopra.

Sfoglio, dicevo, buttando i quattr'occhi tra le pagine, un poco di qua e un poco di la: ma guarda chi si vede!

A pagina sei del Fatto scorgo, scomodamente adagiata ad un contrafforte in travertino (?), d’epoca papale credo, la filosofa Michela Marzano, tutt’intorno l’ingabbia l’articolo intervista di Antonello Caporale.

Più che il titolo in quanto tale mi risveglia la memoria il breve ed educatissimo scambio, di caratteri di senso, che ho avuto con la Marzano qualche sera prima (n.d.r. il 3 febbraio u.s.) su twitter: non potevo non leggerlo.

Parto dal fondo, dalla fine se preferite, amo rovinarmi le sorprese e succhiare tutto il midollo della vita subito!

Domande in grassetto, risposte in “gessetto”, è professoressa; mediatamente mi pare di scorgere due o tre cose, così credo io, che per analogia ho in comune con la Marzano: Jim Morrison, un nonno che fu deputato ed il senso della libertà come rischio necessario.

Che faccio, vado per punti? No!, vado come mi pare.

Quindi scriverò, brevemente, solo della libertà come rischio necessario, secondo quello che, inconsapevolmente, la Marzano mi suggerisce per il tramite del suo parlare esibito.

Prendo subito le mosse dall’intervista, come scrivevo righe sopra, e più precisamente dalla domanda originante il discorso del suo interlocutore, il quale nella sua immensa ed opportuna ingenuità (andatevi a leggere l’etimo da bravi scolaretti come ho fatto io) chiede: “che ci fa una filosofa in parlamento? “.

La risposta implicita è: fa ciò che fa un filosofo, ossia si occupa della Polis, ovvero mette in pratica quell’esercizio di libertà come rischio necessario che è la politica, con la sua verità ex-posta-esibente in transito.

Lei però risponde, sorniona e intelligente, dicendo quel che non si fa, ovvero la politica senza competenza, che per alcuni (molti) non è dato certo, qualità oggettiva, risultato di una fatica.

Ecco cosa intendevo col mio puntualizzare l’ovvio!

Ed è proprio sull’ovvio puntualizzato che mi soffermo, perché nel leggere ho sbattuto il nasone su un ovvio eccellentissimo;  la Marzano esordisce con una questione che per un filosofo in transito è irrinunciabile: “appena ho varcato il portone m’han subito spiegato …”: straordinario!, se non fosse tragico sarebbe persino comico; no, non quel che dice la Marzano, che non fa altro che dire l’ovvio invisibile al senso comune del popolo, ma la pretesa di educare dispensando "saggezza" come un Solone qualunque.

Peccato che quell’ovvio, scontato, non lo sia per chi opportunamente, come la Marzano, pensa di portare il buon senso e la buona misura (tipici strumenti) della cultura dentro al Palazzo: sarà mica per questo che l’intervistatore arrischia una profezia, che la condannerebbe al limbo degli intellettuali rancorosi?

Poco importa, almeno al sottoscritto, e forse anche alla Marzano.

E però sono e siamo ancora qui, al principio della questione politica, dove il transito di certe soglie sembra necessitare, ossessivamente, spiegazioni rituali, frutto d’antiche ed arcane dottrine iniziatiche: sia mai che tu possa pensare d’esser li per uno scopo che, anche solo lontanamente, possa aver a che fare con “l’etica applicata alla realtà”.

La Marzano lo sa bene che l’etica altro non è che comunione del senso morale individuale che si inscrive nella relazione coi propri simili, dentro l’ambito del consorzio della civitas.

Domanda ingenua: perché, dunque, qualcuno sente l’intimo desiderio di somministrarle, come forma necessaria, dottrine comportamentali a prescindere?

Naturalmente io non so cosa abbia pensato la Marzano, come potrei!

Tuttavia, quando qualcuno ha subito inteso somministrale delle “accorate spiegazioni” in merito a come si faccia o non si faccia, a Montecitorio, il politico, come per incanto ho immaginato la nostra filosofa mentre varcava la soglia della Università dove insegna … e d’una cosa, qui, son sicuro, pur non avendo visto, che appena varcata la soglia della Decartes di Parigi a nessuno è venuto in mente di spiegarle come si fa il filosofo.

Alessandro Tesini



https://antonellocaporale.wordpress.com/2015/02/06/michela-marzano-lonorevole-incompresa-e-la-legge-del-parlamento-se-non-sei-fedele-sei-invisibile/






sabato 31 gennaio 2015

ASPETTANDO GODOT; OVVERO IL GIOCO DEL CORPO INALLOGABILE. SECONDA STANZA

SECONDA STANZA.
LA SCHEGGIA
N(eutro) N(arrante). Quasi sull’orlo dell’insignificanza, transitano: qui non è più l’abisso la sì, ma non ancora. Essi avanzano, come prede attese al varco, varco che noi chiamiamo corpo progettante in azione; il balzo in avanti pro-mette altre innumerevoli azioni pro-gettanti, promette il luogo, il gesto ed il suo ri-flettersi inaccessibile non accadente sulla soglia del corpo.

OI. Caro mio potrei, però, sbagliarmi nel definire l’assoluta immobilità del nostro discorso.
IO. E allora perché dici così, perché dici della immobilità e poi ritratti? A me pare che tu faccia un discorso doppio.
OI. No, non dico questo, almeno non mi pare, tuttavia dobbiamo comprendere, se le cose stanno come dici tu, di che doppio si tratta: ovvero cosa produce il nostro parlare.
IO. Insomma questo su e giù, questo qua e la mi fa venire il mal di testa: decidiamoci una volta per tutte!
OI. Lo so, la questione è decisiva, ed ora che ci siamo affacciati, coi piedi ben piantati sopra questa soglia, possiamo solo voltarci indietro e … /interrotto bruscamente da IO/
IO. Altolà!, amico mio, o tu o io, ma il più forte tra i due son io. Non ti permetterò di tornare sui tuoi passi, se lo facessi non potresti più dire quel che hai detto sin qui: altolà perciò!
OI. Va bene, non farò alcun passo indietro, mi volterò soltanto per dire la soglia, questo me lo concederai almeno?
IO. Certo, è d’importanza decisiva che tu la dica: ma non un passo indietro, siamo già oltre.
OI. Altrimenti spariremmo, mente e corpo, ne sono consapevole; solo ora che la vediamo la diciamo, ora che ci voltiamo, con essa alle spalle, anche noi compariamo e comprendiamo: solo a partire da lei e dopo di lei possono emergere i termini del nostro dire e del nostro fare questionante.
IO. Dire la voce, dir con la voce, e rimbalzare di soglia in soglia ed anche il corpo, qui, si sa non più soglia, distanziato com’è dal farsi continuo del gesto vocale, e poi la voce; ora continua tu, io ti seguirò nell’oscillare tra i due poli del già e non ancora.
OI. Mi fa paura lo slancio oltre la soglia, quelle ambiguità ricorrenti, come gl’incubi che facevo da bambino, vorrei poter pervenire ad un chiarimento definitivo, vorrei dipanare le nebbie che mi costringono a capriole e capovolgimenti continui, vorrei … strapparmi anch’io, dalle fauci, con un morso risolutore, la voce: assolutamente fuori, assolutamente dentro.
IO. Forse non è sul corpo che dovresti esercitarti a mordere.
OI. Che intendi dire?, forse che dovremmo analizzare dal principio tutta la questione?
IO. Accomiatiamoci, amico mio, prendiamo le distanze: al largo da tutti quei gesti che ci dicono addosso.
OI. Bene, mettiamoci in cammino dunque.
IO. Osserviamoci. Osserviamoci traccianti l’orlo sempre in azione, sempre progettanti segni, circoscriviamoci inscriventi; queste azioni transitano costantemente e puntano il dito, socchiudiamo un occhio, tenendo ben aperto l’altro.
OI. Che altro modo avremmo, dimmi, per disegnar per bene percorsi che ricamano il limite dal di dentro, come fa un’esperta cucitrice che sa come muovere, delicatamente, l’ago che traccia il suo “da dove viene” ed il suo “andare verso”?
IO. Occorrono occhi e dita delicate, amico mio, per tracciare, segnando, unità di senso.
OI. Come dice bene! E poi, in queste azioni, ci tocca transitare ancora e ancora innumerevoli volte, come quando sui sentieri di montagna si segnano segni traccianti il percorso e si mappano gli innumerevoli tracciati coi traccianti.
IO. Comincio a sentirmi postumo, sempre in ritardo, seppur ad un soffio dal prendere l’attimo e stringerlo tra le mani, ma mi scivola tra le dita tese, sul filo della voce che rimane muta all’udire; rimango, così, solo ed al tempo stesso sono come doppio, il mio doppio inallogabile.
OI. La parola ci tradisce sempre, ci consegna nelle mani d’altri individui che ci imprimono sulla fronte il segno de-finitivo, come fossimo un Caino qualunque.
IO. E’ questo “Sigillum dei” che mi fa paura, temere per il mio corpo, il mio proprio corpo: ecco ora sono nudo!
OI. Questo segno dice per sempre l’assolutamente fuori e l’assolutamente dentro, esclama: girati! Ecco, dunque, non sei più tuo soltanto, non sei più propriamente tuo.
IO. A questo non avevo pensato: se impicca te impicca chiunque!, ti stringe alla gola e ti sospende lassù, in alto e in bella vista.
OI.   Che cosa sono mai disposto a fare, anch’io, rispetto all’altro? Ho bisogno di emergere come corpo, finalmente fuori di ogni corpo, finalmente riflesso dentro ogni corpo.
IO. Se così non fosse non sapremmo più dove girar la testa; ma che è poi questo saper girar la testa, e dove è riposto questo saper girare la testa? Io credo aldilà, “fuori del mondo”, nel suo essere sempre aldiquà, “dentro del mondo” per differenza. 
OI. Dunque, amico mio, nessun aldilà ha da venir di qua, nessun contraccolpo che stia fuori/dentro, nessun rispecchiamento universalizzante?
IO. Mi giro su me stesso, sicché ogni volta che parliamo mi ritrovo sempre nel punto da dove ho cominciato, eppure la verità delle mie proposizioni mi sembra duplice come terra tra due confini.
OI. Traslochi dell’anima e nascondigli del corpo, una cinesi continua dell'energia posseduta dal corpo in funzione della sua velocità, ecco cos’è per me un corpo: come terra tra due confini ove è possibile registrare il transito dell’evenemenziale. Almeno a me così appare.
IO. Ed il soggetto che lo porta, com’è? Il corpo in fondo, amico mio, non è forse un essere senziente esposto/proteso ed esibito al di fuori?
OI. Se il corpo è il soggetto, allora, può solo fondarsi in termini di risposta flessa e riflessa: eccolo dunque senziente nel suo esporsi, ovvero essere esposto esibente.
/silenzio
IO. E noi?
OI. Che intendi dire con “noi”, non capisco.
IO. Qual è la nostra parte in tutto questo?
OI. La nostra parte?: quella del postulante.
IO. Quindi siamo legati?
OI. Legati.
IO. Ma in che senso siamo legati, e come?
OI. Mani e piedi!
IO. Ma da chi? E poi, a chi?
OI. Al tuo grand’uomo: a Godot.

continua





TERZA STANZA ... [continua]