sabato 31 gennaio 2015

ASPETTANDO GODOT; OVVERO IL GIOCO DEL CORPO INALLOGABILE. SECONDA STANZA

SECONDA STANZA.
LA SCHEGGIA
N(eutro) N(arrante). Quasi sull’orlo dell’insignificanza, transitano: qui non è più l’abisso la sì, ma non ancora. Essi avanzano, come prede attese al varco, varco che noi chiamiamo corpo progettante in azione; il balzo in avanti pro-mette altre innumerevoli azioni pro-gettanti, promette il luogo, il gesto ed il suo ri-flettersi inaccessibile non accadente sulla soglia del corpo.

OI. Caro mio potrei, però, sbagliarmi nel definire l’assoluta immobilità del nostro discorso.
IO. E allora perché dici così, perché dici della immobilità e poi ritratti? A me pare che tu faccia un discorso doppio.
OI. No, non dico questo, almeno non mi pare, tuttavia dobbiamo comprendere, se le cose stanno come dici tu, di che doppio si tratta: ovvero cosa produce il nostro parlare.
IO. Insomma questo su e giù, questo qua e la mi fa venire il mal di testa: decidiamoci una volta per tutte!
OI. Lo so, la questione è decisiva, ed ora che ci siamo affacciati, coi piedi ben piantati sopra questa soglia, possiamo solo voltarci indietro e … /interrotto bruscamente da IO/
IO. Altolà!, amico mio, o tu o io, ma il più forte tra i due son io. Non ti permetterò di tornare sui tuoi passi, se lo facessi non potresti più dire quel che hai detto sin qui: altolà perciò!
OI. Va bene, non farò alcun passo indietro, mi volterò soltanto per dire la soglia, questo me lo concederai almeno?
IO. Certo, è d’importanza decisiva che tu la dica: ma non un passo indietro, siamo già oltre.
OI. Altrimenti spariremmo, mente e corpo, ne sono consapevole; solo ora che la vediamo la diciamo, ora che ci voltiamo, con essa alle spalle, anche noi compariamo e comprendiamo: solo a partire da lei e dopo di lei possono emergere i termini del nostro dire e del nostro fare questionante.
IO. Dire la voce, dir con la voce, e rimbalzare di soglia in soglia ed anche il corpo, qui, si sa non più soglia, distanziato com’è dal farsi continuo del gesto vocale, e poi la voce; ora continua tu, io ti seguirò nell’oscillare tra i due poli del già e non ancora.
OI. Mi fa paura lo slancio oltre la soglia, quelle ambiguità ricorrenti, come gl’incubi che facevo da bambino, vorrei poter pervenire ad un chiarimento definitivo, vorrei dipanare le nebbie che mi costringono a capriole e capovolgimenti continui, vorrei … strapparmi anch’io, dalle fauci, con un morso risolutore, la voce: assolutamente fuori, assolutamente dentro.
IO. Forse non è sul corpo che dovresti esercitarti a mordere.
OI. Che intendi dire?, forse che dovremmo analizzare dal principio tutta la questione?
IO. Accomiatiamoci, amico mio, prendiamo le distanze: al largo da tutti quei gesti che ci dicono addosso.
OI. Bene, mettiamoci in cammino dunque.
IO. Osserviamoci. Osserviamoci traccianti l’orlo sempre in azione, sempre progettanti segni, circoscriviamoci inscriventi; queste azioni transitano costantemente e puntano il dito, socchiudiamo un occhio, tenendo ben aperto l’altro.
OI. Che altro modo avremmo, dimmi, per disegnar per bene percorsi che ricamano il limite dal di dentro, come fa un’esperta cucitrice che sa come muovere, delicatamente, l’ago che traccia il suo “da dove viene” ed il suo “andare verso”?
IO. Occorrono occhi e dita delicate, amico mio, per tracciare, segnando, unità di senso.
OI. Come dice bene! E poi, in queste azioni, ci tocca transitare ancora e ancora innumerevoli volte, come quando sui sentieri di montagna si segnano segni traccianti il percorso e si mappano gli innumerevoli tracciati coi traccianti.
IO. Comincio a sentirmi postumo, sempre in ritardo, seppur ad un soffio dal prendere l’attimo e stringerlo tra le mani, ma mi scivola tra le dita tese, sul filo della voce che rimane muta all’udire; rimango, così, solo ed al tempo stesso sono come doppio, il mio doppio inallogabile.
OI. La parola ci tradisce sempre, ci consegna nelle mani d’altri individui che ci imprimono sulla fronte il segno de-finitivo, come fossimo un Caino qualunque.
IO. E’ questo “Sigillum dei” che mi fa paura, temere per il mio corpo, il mio proprio corpo: ecco ora sono nudo!
OI. Questo segno dice per sempre l’assolutamente fuori e l’assolutamente dentro, esclama: girati! Ecco, dunque, non sei più tuo soltanto, non sei più propriamente tuo.
IO. A questo non avevo pensato: se impicca te impicca chiunque!, ti stringe alla gola e ti sospende lassù, in alto e in bella vista.
OI.   Che cosa sono mai disposto a fare, anch’io, rispetto all’altro? Ho bisogno di emergere come corpo, finalmente fuori di ogni corpo, finalmente riflesso dentro ogni corpo.
IO. Se così non fosse non sapremmo più dove girar la testa; ma che è poi questo saper girar la testa, e dove è riposto questo saper girare la testa? Io credo aldilà, “fuori del mondo”, nel suo essere sempre aldiquà, “dentro del mondo” per differenza. 
OI. Dunque, amico mio, nessun aldilà ha da venir di qua, nessun contraccolpo che stia fuori/dentro, nessun rispecchiamento universalizzante?
IO. Mi giro su me stesso, sicché ogni volta che parliamo mi ritrovo sempre nel punto da dove ho cominciato, eppure la verità delle mie proposizioni mi sembra duplice come terra tra due confini.
OI. Traslochi dell’anima e nascondigli del corpo, una cinesi continua dell'energia posseduta dal corpo in funzione della sua velocità, ecco cos’è per me un corpo: come terra tra due confini ove è possibile registrare il transito dell’evenemenziale. Almeno a me così appare.
IO. Ed il soggetto che lo porta, com’è? Il corpo in fondo, amico mio, non è forse un essere senziente esposto/proteso ed esibito al di fuori?
OI. Se il corpo è il soggetto, allora, può solo fondarsi in termini di risposta flessa e riflessa: eccolo dunque senziente nel suo esporsi, ovvero essere esposto esibente.
/silenzio
IO. E noi?
OI. Che intendi dire con “noi”, non capisco.
IO. Qual è la nostra parte in tutto questo?
OI. La nostra parte?: quella del postulante.
IO. Quindi siamo legati?
OI. Legati.
IO. Ma in che senso siamo legati, e come?
OI. Mani e piedi!
IO. Ma da chi? E poi, a chi?
OI. Al tuo grand’uomo: a Godot.

continua





TERZA STANZA ... [continua] 




lunedì 12 gennaio 2015

CHARLIE HEBDO, UNA RIVISTA PER TUTTI E PER NESSUNO.

CHARLIE HEBDO, UNA RIVISTA PER TUTTI E PER NESSUNO.





Charlie Hebdo una rivista per tutti e per nessuno. Accidenti!, e chi lo avrebbe detto mai che anche dei "vignettari" (mestiere rispettabilissimo), s'è offeso qualcuno?, partecipassero ad una sorta di Nietzsche renaissance, in forma digito grafiKa. 

"Ora, dato che pochi - troppo pochi - capiscono perché l’ha fatto, allora ha fatto bene.". (cit. http://goo.gl/E6dspI blog http://ilmioamicodio.blogspot.it/, conosco , personalmente, e stimo l'uomo che scrive il blog di cui sopra).

Tuttavia a partire da che, qualcuno, avrebbe fatto cosa, e lo avrebbe fatto bene?; qui è evidente l'insussistenza di qualsivoglia relazione genealogica tra il gesto satirico dei giornalisti di C.H., ovvero il gesto satirico in quanto frutto di pratiche, per dir così, grafiche, la ridotta capacità di comprensione del gesto in quanto tale, da qui i pochi: ma pochi rispetto a quali molti?, e la bontà del gesto satirico, esibito in tutta la sua tragica portata pubblica.  

Tornando a noi, ovvero alla domanda originaria, credo che potrei rispondere, almeno nell'immediato del trasporto emotivo, così: ha "fatto bene" le offese alla religione. Ma fatto in che senso, e poi, bene come?. Bene nel suo farsi stesso, cioè nel senso del farsi tipico della perizia tecnica del disegnatore, che esibisce, mediante il grafema, il suo sub strato ideologico irreversibile? 

Se le cose stanno così è difficile sostenere che non fossero competenti, come disegnatori almeno; è evidente che non vi sia alcuna pre-tesa, qui, di rimandare oltre il detto, anche perché il detto, con la sua parola caratterizzante, è sempre postumo, come del resto lo è il segno grafico, che è, non solo postumo, ma anche posticcio.

Facciamo un salto, almeno per il momento: contestualizziamo il tutto all'interno delle pratiche di vita, di parola e di scrittura che sono tipiche esibizioni del fare relazionante dell'uomo. 

Prima però voglio ricordare che (ci tengo da morire) un certo Gesù , duemila anni fa, fece scandalo rischiando grosso: DUEMILA ANNI DI STORIA E NON ANCORA UN NUOVO DIO! (F. Nietzsche)

E si, perché l'ebreo Gesù non le mandava mica a dire, aveva il brutto vizio di farla, la morale, personalmente: "Non sono venuto a portare pace, ma una spada" (Mt 10,34b)
O cazzo! (volevo scrivere oddio ma era troppo  politicamente corretto), sarà mica un terrorista!? Non corriamo, non corriamo, piano e per punti, poi torniamo a Gesù.

Laïcité, prima di tutto!, nessuno uscirà vivo di qui, neppure gli intoccabili! (Si, era Jim Morrison, mi avete scoperto); dunque scrivevo: Laïcité, prima di tutto!, ovvero la più alta espressione di conquista, occidentale, della realtà e della libertà assoluta "in sé": ma va là! 

Effettivamente l'ho trascritta grossa: la Libertà in sé, che ideona! 

In altri termini la potremmo tradurre così, almeno credo: libertà come nozione assoluta della verità "in sé", relativa al pensiero del soggetto che pensa. 

Si, no, boh?, vedremo. 

Per quanto ne so una nozione o idea di una "realtà assoluta", per giunta sussistente in se medesima è, a me pare, assurda, soprattutto se pensata dileguata (quanto mi piace questa parola!) da una qualsiasi nozione o idea, non fosse altro perché il concetto di "realtà assoluta in se" o "cosa in sé" è una nozione o idea. 

Riprendo le fila, elenco i concetti che voglio pensare criticamente: diritto illimitato di satira, come espressione della Laïcité, che è la più alta espressione di conquista occidentale della realtà e della libertà, almeno secondo i sacerdoti, i diaconi e i chierici della rivista Charlie Hebdo, ma anche per i loro epigoni. 

E qui, però, è difficile: diritto illimitato; passi la parola satira, soprattutto se abbiamo cognizione del fatto che l'etimo della parola satira, dal latino satura lanx, affiderebbe il suo senso primo ed ultimo al vassoio riempito di offerte agli dei, che è una evidente buccia di banana per "laici" incalliti; se, poi, alla redazione di C.H. sapessero cosa significa laico e che, ad esempio, anche i cristiani non appartenenti al clero sono laici, gli prenderebbe un colpo: opsss m'è scappato, il colpo. LA SATIRA, LA SATIRA: MON AMOUR!

Naturalmente, lo do per assodato, siamo tutti d'accordo sul fatto che non ci sia questione seria che non possa o debba essere seguita da una fragorosa risata, ma il "diritto illimitato" di dire, fare, baciare, lettera, e/o testamento, chi se la sente di metterlo in discussione?

Io, o per essere più precisi, la giurisprudenza occidentale o parte di essa (non ho nozione del diritto penale, e delle relative procedure, di tutti i paesi europei), però in Italia (la Francia non si discosta molto, da loro la diffamazione è regolata dall'art. 29 della legge 29 luglio 1881), la diffamazione è sancita penalmente (che paese di barbari!), cito:

 "Nell'ordinamento giuridico italiano, la diffamazione (art. 595, codice penale) è un delitto contro l'onore ed è definita come l'offesa all'altrui reputazione, comunicata a più persone con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di comunicazione. A differenza del delitto di ingiuria di cui all'art. 594 c.p., il delitto di diffamazione può essere consumato solo in assenza della persona offesa.
Il bene giuridico tutelato dalla norma è la reputazione intesa come l'immagine di sé presso gli altri.
L'analisi testuale della norma consente di risalire ai suoi elementi strutturali: l'offesa all'altrui reputazione, intesa come lesione delle qualità personali, morali ,sociali, professionali, etc. di un individuo; la comunicazione con più persone, laddove l'espressione "più persone" deve intendersi senz'altro come "almeno due persone"; l'assenza della persona offesa, da intendersi secondo la più autorevole dottrina come l'impossibilità di percepire l'offesa."

Sono colpito!, non parlo perché son rapito...quindi scrivo, ecco qui: 


La diffamazione è un delitto contro l'onore ed è definita come l'offesa all'altrui reputazione.

Dunque, se non ho capito male, l'offesa consisterebbe nell'essere lesivi dell'altrui dignità, delle sue qualità personali, morali, sociali, professionali; dunque chi diffamasse si arrogherebbe la pretesa di annichilire il diritto all'onorabilità, il diritto alla rispettabilità, il diritto alla dignità dell'altrui persona, anche quando il concetto di "persona", estensibile e declinabile, rimanda inderogabilmente alla pluralità dei gruppi umani oltre al proprio, nella specificità esaltante dei suoi generi, e nel pieno della loro espressione etica quindi sociale: una umiliazione dell'altro in piena regola, altro che Laïcité! 

Ora, però, per non dispiacere agli dei ma anche per non confondere troppo le sinapsi agli imbecillotti, debbo sostenere che la satira non sempre nasconde, come ho scritto altrove, un pensiero insofferente ed intollerante, che non sopporta chi non si conforma, radicalmente e totalmente, alla "laïcité", olè, olè, olè.

Questo concetto, "pensiero insofferente ed intollerante..." ecc., è, a mio giudizio, fondato quando si tratta di Charlie Hebdo ed eventuali epigoni.


Perché? Perché genealogicamente l'anarchico ed anche un poco "fasciste avec le aggravante rouge" (si scrive così?, speriamo), gruppo di lavoro della rivista C.H., è asservito all'idea della Laïcité  quale più alta espressione di conquista, occidentale, della realtà e della libertà assoluta "in sé". Senza dimenticare che la libertà assoluta, così tanto celebrata, in Francia la si ottenne a suon di "sgozzamenti cervicali": ricordate la ghigliottina, o vi difetta la memoria della storia?


N,B.: Esibisco la prova del "fasciste avec le aggravante rouge":




Lo dico io? no, lo dicono loro, lo ha ribadito la moglie del fu direttore della rivista Charlie Hebdo. 

Oggi Il mio amico Dio, alias @lddio, nel suo scritto sostiene che essere lesivi dell'altrui dignità, delle sue qualità personali, morali, sociali, professionali (lui, per onore di cronaca, scrive "la presa in giro della religione", anche senza nessun rispetto...") serva a ribadire il concetto che noi siamo in un mondo libero. Domando: quale mondo libero?, libero da che o da chi?, dalle religioni? 

Dunque: Liberté, Égalité, Fraternité?, ma se sono palesemente concetti pilastro della dottrina e della vita cristiana, enunciati dall'ebreo Gesù, e ribaditi allo sfinimento dall'ebreo-romano (ius soli, con buona pace di Salvini) Saulo di Tarso. 

Ecco qui, giusto un cammeo, per ribadire il concetto di "mondo libero", che "libero" lo è, solo ed esclusivamente, a partire dalla prospettiva totalizzante dell'occidente, il quale, di norma, censura esibendo un preteso ridicolo del sentimento religioso (ma non solo), proprio o altrui, quale espressione impossibile della propria cultura ovvero di tutte quelle pratiche di vita, di parola e di scrittura e quindi di relazione rispetto alle verità (sempre relative appunto) sulle quali sono fondate, da migliaia di anni, le tradizioni di senso più proprie della nostra civiltà e di quelle altrui, questo che ci piaccia o no. 

Affermare che la "laïcité" sia la più alta espressione di conquista occidentale della realtà e della libertà "in sé", non solo sprofonda nel ridicolo chi lo afferma ma rivela la pochezza della profondità del pensiero di chi la sostiene. 

Tale pretesa conquista di verità assoluta è palesemente assurda ed inconsistente.



Ora però debbo tornare a Gesù, lo avevo promesso ai miei pii lettori.

Dunque l'ebreo Gesù, che non le mandava mica a dire, e che aveva il brutto vizio di fare, personalmente, la morale agli uomini di potere, fa quel che fa e dice quel che dice non tanto per osare in faccia al potere, o per fare cose estremamente diverse dalla norma (è un paladino della buona norma, quella del Padre Suo) o dalla convenienza, ma per richiamare al senso della relazione tra l'essere dell'uomo con l'altro uomo, quello che gli si pone di fronte e reclama giustizia: ogni giorno (potere e libertà).

Ma questo senso della relazione, fondativo della libertà e della giustizia, come è, dov'è ed in che senso è quel che è?, domandereste appropriatamente voi; qui in sintesi: caro Pilato dimmi, che potere avresti tu se non ti fosse dato da chi sta sopra di te? Altrove, ma ve lo andate a leggere da soli: Il giovane ricco, Matteo 19, 16-22. 

Giungo alla fine dunque, con sommo gaudio vostro,  per sollevare il problema della satira fondamentalista quella ad ogni costo anche della vita, se non fosse tragico, sarebbe persino ridicolo sostenerlo: che Iddio ce ne scampi.

N.B.: per accedere alla comprensione del post, nella sua opportuna dimensione critica, si deve leggere il lavoro di @lddio, dal titolo
"SE LA E' CERCATA", all'indirizzo riportato qui sotto:

 http://goo.gl/E6dspI blog http://ilmioamicodio.blogspot.it/

Alessandro Tesini