Non so se
puntualizzare l’ovvio sia sempre un bene; ma, nel caso in cui lo fosse, in che
senso lo sarebbe un bene?
Partiamo dal
principio, altrimenti corriamo il rischio di non trovare nemmeno la coda.
Il principio era
la mano, la mia, che attenta, giudiziosa e con dita delicate, raccoglieva i
quotidiani che avevo deciso di leggere in treno, la mattina di giovedì 5
febbraio u.s., durante il mio viaggio di ritorno verso casa: Corriere della
Sera, Il Foglio ed Il Fatto Quotidiano, giornale che non amo ma che leggo con
regolarità (chi se ne frega! esclamerete voi; frega a me!, esclamerò io).
Sfoglio per
primo il #CorriereFoglioFatto, per deformazione mentale, leggo contemporaneamente
più quotidiani o libri, sono abituato così, sin da bambino, e fino a che
l’Alzehimer non deciderà di farsi una vacanza presso il sottoscritto credo che
procederò come indicato poco più sopra.
Sfoglio, dicevo,
buttando i quattr'occhi tra le pagine, un poco di qua e un poco di la: ma
guarda chi si vede!
A pagina sei del
Fatto scorgo, scomodamente adagiata ad un contrafforte in travertino (?),
d’epoca papale credo, la filosofa Michela Marzano, tutt’intorno l’ingabbia l’articolo
intervista di Antonello Caporale.
Più che il
titolo in quanto tale mi risveglia la memoria il breve ed educatissimo scambio,
di caratteri di senso, che ho avuto con la Marzano qualche sera prima (n.d.r. il
3 febbraio u.s.) su twitter: non potevo non leggerlo.
Parto dal fondo,
dalla fine se preferite, amo rovinarmi le sorprese e succhiare tutto il midollo della vita subito!
Domande in
grassetto, risposte in “gessetto”, è professoressa; mediatamente mi pare di
scorgere due o tre cose, così credo io, che per analogia ho in comune con la
Marzano: Jim Morrison, un nonno che fu deputato ed il senso della libertà come
rischio necessario.
Che faccio, vado
per punti? No!, vado come mi pare.
Quindi scriverò, brevemente, solo della libertà come rischio necessario, secondo quello che, inconsapevolmente,
la Marzano mi suggerisce per il tramite del suo parlare esibito.
Prendo subito le
mosse dall’intervista, come scrivevo righe sopra, e più precisamente dalla
domanda originante il discorso del suo interlocutore, il quale nella sua
immensa ed opportuna ingenuità (andatevi a leggere l’etimo da bravi scolaretti
come ho fatto io) chiede: “che ci fa una filosofa in parlamento?
“.
La risposta
implicita è: fa ciò che fa un filosofo, ossia si occupa della Polis, ovvero mette
in pratica quell’esercizio di libertà come rischio necessario che è la
politica, con la sua verità ex-posta-esibente in transito.
Lei però risponde,
sorniona e intelligente, dicendo quel che non si fa, ovvero la politica senza
competenza, che per alcuni (molti) non è dato certo, qualità oggettiva,
risultato di una fatica.
Ecco cosa
intendevo col mio puntualizzare l’ovvio!
Ed è proprio
sull’ovvio puntualizzato che mi soffermo, perché nel leggere ho sbattuto il
nasone su un ovvio eccellentissimo; la
Marzano esordisce con una questione che per un filosofo in transito è
irrinunciabile: “appena ho varcato il portone m’han subito spiegato …”: straordinario!, se non fosse tragico sarebbe persino comico; no, non quel che
dice la Marzano, che non fa altro che dire l’ovvio invisibile al senso comune
del popolo, ma la pretesa di educare dispensando "saggezza" come un Solone qualunque.
Peccato che
quell’ovvio, scontato, non lo sia per chi opportunamente, come la Marzano, pensa di portare il buon senso e la
buona misura (tipici strumenti) della cultura dentro al Palazzo: sarà mica per
questo che l’intervistatore arrischia una profezia, che la condannerebbe al limbo
degli intellettuali rancorosi?
Poco importa,
almeno al sottoscritto, e forse anche alla Marzano.
E però sono e
siamo ancora qui, al principio della questione politica, dove il transito di certe
soglie sembra necessitare, ossessivamente, spiegazioni rituali, frutto d’antiche
ed arcane dottrine iniziatiche: sia mai che tu possa pensare d’esser li per uno
scopo che, anche solo lontanamente, possa aver a che fare con “l’etica
applicata alla realtà”.
La Marzano lo sa
bene che l’etica altro non è che comunione del senso morale individuale che si
inscrive nella relazione coi propri simili, dentro l’ambito del consorzio della
civitas.
Domanda ingenua:
perché, dunque, qualcuno sente l’intimo desiderio di somministrarle, come forma
necessaria, dottrine comportamentali a prescindere?
Naturalmente io
non so cosa abbia pensato la Marzano, come potrei!
Tuttavia, quando qualcuno ha subito inteso somministrale delle “accorate spiegazioni” in merito a come si faccia o non si faccia, a Montecitorio, il politico, come per incanto ho immaginato la nostra filosofa mentre varcava la soglia della Università dove insegna … e d’una cosa, qui, son sicuro, pur non avendo visto, che appena varcata la soglia della Decartes di Parigi a nessuno è venuto in mente di spiegarle come si fa il filosofo.
Tuttavia, quando qualcuno ha subito inteso somministrale delle “accorate spiegazioni” in merito a come si faccia o non si faccia, a Montecitorio, il politico, come per incanto ho immaginato la nostra filosofa mentre varcava la soglia della Università dove insegna … e d’una cosa, qui, son sicuro, pur non avendo visto, che appena varcata la soglia della Decartes di Parigi a nessuno è venuto in mente di spiegarle come si fa il filosofo.
Alessandro Tesini
https://antonellocaporale.wordpress.com/2015/02/06/michela-marzano-lonorevole-incompresa-e-la-legge-del-parlamento-se-non-sei-fedele-sei-invisibile/