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Dire d'avere il coraggio della verità (o che serva avere il coraggio della verità) è un'affermazione ingenua e priva di senso.
(Qui sotto lascio uno spazio per la pro-posta che vorrai scrivere in proposito della tua verità)
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Posta la verità: una, pura e semplice (è evidente che non è così), inscindibile e tutta d'un pezzo come un Moloch.
Ecco che, poste le premesse, per chiunque sarebbe impossibile dirla una siffatta "verità", ergo figuriamoci (di) scriverla.
E si perché, detta così, la parola "verità" (?), rimane un feticcio del linguaggio, priva del suo concetto di fondo, quindi di tutte quelle operazioni che al concetto o alla nozione (sono sinonimi) conferiscono la sua genealogia; ecco, dunque, come la parola "verità", vale del resto per qualsiasi parola, perde il suo effetto di senso. (se vuoi prenderti il disturbo..., su operazioni e concetti, puoi leggerti, tra gli altri, Percy W. Bridgman - anche G.W.F. Hegel in proposito ha qualcosa da dirti).
Quindi (domandi tu)? Quindi se mi rivolgi una sollecitazione del genere significa che sei ingenuo due volte, che hai letto con sufficienza e miope arroganza, che hai, appunto, guardato ma non hai visto; non hai visto che ho scritto: "...ergo figuriamoci (di) scriverla"; la questione sta qui, nel farsi figura, o prender figura, della nostra supposta verità: il suo fine è (di) essere immaginata e venir scritta da te.
Che "verità" è una verità che non si lascia scrivere, che non è signata!?
E' una "verità" che non c'è; il "dire" la "verità" è sempre postumo, non esiste una "verità" che non sia accaduta; la "verità prende figura mentre si fa: ecco che accade.! Tuttavia la "verità" non indica, sic et simpliciter, qualche cosa che è accaduto nei fatti, non è una mera scienza di "fatti", una scienza così è solo l'inventario di "verità" morte ("...le mere scienze di fatti creano meri uomini di fatto", cfr. E. Husserl - La crisi delle scienze europee -), e di siffatte donne ed uomini il Mondo erutta.
La "verità", quale che sia, pretende come suo irrinunciabile presupposto l'atto di fede, ovvero che tu creda, per lo meno in quel che fai, cioè in quel che scegli di volere per te e per gli altri: per te quando immagini in figura la tua vita, per gli altri quando de-cidi, disegnando l'orlo delle cose che fai per la vita altrui (famiglia, azienda, professione,...).
Ogni tua scelta privata o pubblica/professionale (rifletti sul concetto che sta dietro questa parola) de-cide cioè divide, separa scrivendo, definitivamente, la figura della distanza da-, ma anche della vicinanza a-: questo scrivere la "verità" definisce tutti i perimetri ed i loro "orli" di senso, non puoi sfuggire a questa prassi di "verità" e nemmeno al suo rimbalzo.
Non chiedermi, ora, cosa intendo dire "veramente", hai capito benissimo; hai capito benissimo che come quell'uomo ricco della parabola evangelica, quell'uomo pio e devoto (alla famiglia, all'azienda, alle parole ed alle cose, a tutte le sue pratiche di vita quotidiana) ed anche onesto (si ho scritto onesto!), che come quell'uomo, fatto di pretesa dignità ed onestà pelosa ed insensata, manchi di una sola cosa: getta via tutte le inutili "parole", tutte le inutili "cose" e vai scrivendo la tua "verità".
Ora quel che manca qui per mia ignoranza, ti prego, scrivilo tu.
Alessandro