ZIO PAPERONE E’ UNO CHE S’INCAZZA FORTE.
Nella biblioteca del mio nano-loft modenese ci sono
alle pareti, appesi come prosciutti, 5000 libri circa (ci sono anche i quadri,
pochi per la verità, peraltro non assoluta, e i libri, forse, sono un poco
meno)
..."...li hai letti tutti?"(voci dal coro)
“...chi se ne frega!”(voce che sfancula il
coro).
E lo so!, come inizio è un poco debole, moscio
moscio, ma tant'è.
La verità è che zio Paperone è
uno che s'incazza forte: medita, rimugina e rumina, rumina e rimugina e,
"mumble..., mumble...", carica la bombarda, s'infila la vecchia tuba
e ...bhè il resto lo sapete.
. L’antefatto.
Sfrucugliavo (anche sfruculiare va bene), pochi
giorni addietro, su LinkedIn e,
sfruculia che ti sfrucuglia, m’imbatto in alcune immaginette votive,
prontamente arredate dai vari editori dei relativi “pulse”,
sulla nitida bellezza della tecnologia e la grandezza di questa moderna
invenzione: che stupore i "nativi digitali"
di qua, i "millenials" e "pirla 2.0, 3.0, 4.0” di
là; per non dimenticare poi gli "eroi" della
banalità che stanno un po’ qua e un po’ là.
TECNICA – LAVORO – PAROLA - LAVORO.
TECNICA – LAVORO – PAROLA - LAVORO.
TECNICA – LAVORO - PAROLA - LAVORO.
TECNICA – LAVORO – PAROLA - LAVORO.
TECNICA – LAVORO – PAROLA - LAVORO.
E POI… L’ESSERE UMANO.
Il mantra-martello picchietta sui coglioncini di
cristallo.
. La scimmia nuda.
Inforco i miei occhialoni di tartaruga (Bombay Book
Club, Paul Frank, “oculi de vitro cum capsula”
nero, arancione e beigeSSS su plastica) e mi pro-jecto a capofitto nelcontest dei content; leggo
avidamente alla ricerca dei contenuti di senso dei “pulse” (ammetto che qualche d’uno è di rilievo);
leggo, leggo ancora, rileggo un’altra volta: il nulla, a parte le parole
naturalmente.
E già, le parole...la parola è una tecnica (tèchne) penso, la lingua una tecnologia.
(n.d.r. so che qualche "anima bella" freme
dalla voglia di farmi presente la lezione di M. McLuhan su “medium e
messaggio”)
La parola di tutti i giorni, di tutti i secoli prima di noi, è una tecnica (la parola ci “fa”, come dire, ci
pro-duce da sempre, da quando l’uomo è il medium-parlante) e non semplicemente
nel senso banale, cioè comune, di modalità operativa; la parola è una tecnica in quanto fondamento di una tecnologia: la
lingua appunto (l’ho già detto? ehhhh vabbé, ho l’alzheimer!).
Mumble..., mumble...; quindi, se la cosa sta accussì, il
punto, mi pare, sul quale “sculacciare” la faccia ai guru guru è questo: amici cari, non si da una
tecnica, o una domanda sulla tecnica, al di là dell’uomo, perché semplicemente
non c’è.
Perché dico sta robetta da nulla?
Perché la dicotomia: qui l’uomo, laggiù la tecnica,
celebrata, più o meno esplicitamente, nei “Pulse”,
nei “TED”
nei “Bip”
o nei “Bop”,
è una minchiata; ergo: non si da una tecnica, o una
domanda sulla tecnica, al di là dell’uomo, perché non c’è.
NON ESISTE L’UOMO SENZA LA TECNICA!
(n.d.r. Non foss’altro perché è lui che la produce
ovvero l’uomo produce se stesso insieme alla sua tecnica, ma questa è roba per fighi
pazzeschi, sorvoliamo per il momento)
. La scimmia nuda s'infila le mutande.
Ora, mi rendo conto che chi si prendesse mai il
disturbo di leggere quel che qui scrivo potrebbe domandarsi: dunque?
Dunque, amico caro, fai bene attenzione che la
stragrande maggioranza dei guru-guru parlanti per il tramite di questo
net-work, LinkedIn appunto, parla, per
lo più, senza sapere di parlare (per la verità non sa nemmeno quello che dice
quando è parlata dal linguaggio, direbbe quel gran pezzo di figo di Heidegger): e scrivono pure libri!
Naturalmente scrivere libri va benissimo, le
biblioteche ne sono piene; persino io, come scrivevo sopra, ho una biblioteca
poderosa... si, si, quella del nano-loft modenese.
In ogni caso la robetta da nulla di cui scrivo, come
un qualsiasi scemetto di
questo mondo, ha le sue fondate ragioni anche nel breve confronto scritto che
ho avuto recentemente con Ivan Ortenzi, qui su
LinkedIn, in merito al suo intervento tenuto al #BIpFF17 presso il milanese
Palazzo Mezzanotte. (Cfr. https://youtu.be/czXJNa0ljao)
Il contesto è grossomodo quello che segue:
Ortenzi,
dopo una lunga introduzione a vocazione storiografica, indugia per un istante
sul da dirsi per poi sfoderare una sciabolata concettuale che avrebbe lo scopo
di tagliare di netto il “fare” dell’uomo tecnologia da sempre, relegando,
quindi, tutto quel che c’era prima in una indefinita oscurità primordiale, per
sostenere che “all’improvviso avremmo a
disposizione dei (n.d.r. oKKio a sta parola) “dispositivi”
tecnologici il cui obiettivo sarebbe migliorare le nostre “performance”
cognitive (n.d.r. e la madonna!, ma dai?), cambiamento al quale l’essere
umano non è abituato perché ha sempre mantenuto la famosa “Ars” romana come
caratteristica unica del nostro vivere su questo pianeta.”.
Ergo, continua Ortenzi, “in maniera manifesta, da adesso
in poi, dovremmo confrontarci con qualcuno o qualcosa che potrebbe pensare
meglio di noi.”; tutto questo è, a suo dire, molto pericoloso.” (n.d.r.
vai col liscio!)
Ora, onde evitare che mi decollino le palle
nell’empireo, pongo la questione cosi: chi ha disposto i dispositivi
tecnologici atti a migliorare le nostre “performance” cognitive?
Quale la sua cognizione di causa?
E come si è disposto, egli stesso, rispetto alle
operazioni che sarebbero in atto al fine del cambiamento epocale degli abiti
mentali dei suoi simili, ovvero, alla fine di tutto, il nostro “DIVINO
ARTEFICE” lo sa che non si da una tecnica al di là dell’uomo che preceda l’uomo
ovvero che lo prescinda?
E’ evidente anche al mio nipotino di due anni che
pensare così, prima delle mie domande ingenue, è una superstizione tipicamente
umana, troppo umana, giusto per evocare Nietzsche.
. L’uomo e la tecnica dunque.
Che ARGOMENTONE! Già, ma
quale uomo?, quale uomo e che cosa è l’uomo, cosa lo definisce ovvero chi lo
definisce? Quali gli “strumenti” per definirlo?, direbbe Kant.
Ora, se guardiamo bene, chi pone tali quesiti
all’uomo è un uomo, il quale, appunto, s’interroga a sua volta e pone le sue domande
a partire dalla tecnica, tipicamente umana, del parlare per il mezzo dello
strumento o se preferite del dispositivo della parola, ovvero mette in atto la
più tipica delle tecnologie dell’uomo: la parola e la sua lingua.
Per inciso, giusto per evitare che i soliti
“folletti della foresta” se ne escano con proposizioni sciocchine nel tentativo
di insinuare un qualche recondito odio da parte del sottoscritto verso il
processo tecnologico in atto, si sappia che non ho alcuna resistenza verso il
processo tecnologico in atto (in atto peraltro da quando l’uomo si è tirato
diritto sugli arti inferiori liberando mani e bocca), processo del quale anche
io, evidentemente, faccio parte come corpo agente, come corpo strumento con tutte
le sue proiezioni/protesi esosomatiche; protesi/proiezioni alle quali
conferisco una protensione di senso (tutti lo facciamo) per il medium di un
transfert esterno, autorappresentativo, che è lo strumento o se preferite il
dispositivo di relazione esosomatica: il linguaggio!
Il linguaggio è una protesi esosomatica edificatrice
di senso per il medium dei suoi segni/simboli.
Qualsiasi strumento o dispositivo esosomatico è
rappresentazione agente del mondo: lo è producendo effetti nel mondo e, per
effetto del suo rimbalzo, traendo effetti dal mondo.
Dunque, miei cari adoratori di feticci apotropaici,
alla radice del lavoro sta sempre la tecnica/tecnologia parola con la sua
lingua e tutti i suoi possibili linguaggi: altro che Lewis Mumford!
P.s.: riporto, qui sotto, per
dovere di cronaca, lo scambio avuto con Ivan Ortenzi cui faccio riferimento nel
post.
O.: Riscoprire
l'importanza di essere umani per gestire singolarità ed età dei robot è
veramente 0.0
T.: Ivan
Ortensi, sulla postura del pensiero che sottende al concetto "essere umani
0.0, 0.1, 0. nulla, avrei le mie perplessità: quale uomo? Che cosa è l'uomo,
cosa lo definisce ovvero chi lo definisce? Quali gli "strumenti" per
definirlo? La tecnica, ed il lavoro che la costituisce, non è un evento o fatto
recente ma antichissimo. La "parola", giusto per produrre un
contenuto di senso, è una tecnica e lo è in quanto fondamento di una
tecnologia: il linguaggio appunto; pensare una tecnica, o una domanda sulla
tecnica, al di là dell'uomo è una insensatezza, non esiste una tecnica prima
dell'uomo. Sostenere che arriverà una tecnologia che migliorerà le capacità
cognitive di ogni essere umano è privo di senso tanto quanto sostenere che
l'uomo non vi sarebbe abituato: la presunta tecnologia atta a migliorare i
processi cognitivi umani è, guarda caso, il risultato prodotto di processi
cognitivi tipicamente umani , processi che già la trascendono in quanto la
precedono e la fondano. Pertanto la proposizione "...qualcuno/qualcosa
(a.i. suppongo) che potrebbe pensare meglio di noi" pensa, si fa per dire,
sempre a partire da chi l'ha pensata e messa in atto ovvero un essere umano. A
chiosa di quanto sopra ribadisco: pensare una tecnica, o una domanda sulla
tecnica, al di là dell'uomo è una insensatezza. Un caro saluto Alessandro
O.: Caro
Alessandro, dissento totalmente. Mi permetto di dire che le tue osservazioni
attengono proprio a quel modello cognitivo lineare che sarà messo il profonda
crisi da AI, singolarità e nuove macchine senzienti. Per capire tutto questo
dobbiamo trascendere il modello lineare. Siamo capaci di farlo, lo abbiamo
fatto con la teoria della relatività relativa e con la meccanica quantistica
solo per citare due esempi recenti. Mi permetto anche di dire che " non
succederà mai" è proprio quello di cui non abbiamo bisogno ora. Ti
suggerisco anche di approfondire alcuni elementi di analisi della relazione
uomo, tecnica e innovazione leggendo il prezioso lavoro di Lewis Mumford. Ad
maiora.
T.: Ivan
grazie della sollecita risposta. Inanzi tutto in particolare cosa mi suggerisci
di rileggere (ancora?) di Munford? A seguire: legittimo dissentire, in parte o
nella totalità, da una posizione intellettuale altra dalla propria (è cosi?)
salvo poi argomentare ex professo,
rispetto alla posizione non condivisa. La questione sollevata è l'uomo (con la
sua tecnica e quindi i suoi prodotti); io ho domandato: quale uomo? Che cosa è
l'uomo, cosa lo definisce ovvero chi lo definisce? Quali gli
"strumenti" per definirlo? Per inciso è, quella che precede, la domanda
che sottende tutte le operazioni concettuali che conducono il caro Einstein
alla sua Teoria della Relatività (non solo quella naturalmente), il quale, per
altro, aveva perfettamente chiaro che la "parola" (logos) è una
tecnica; io non ho posto la questione della bontà o meno della tecnica, io ho
posto in evidenza che distinguere l'uomo dalla tecnica è un errore pericoloso
oltre che una insensatezza "cognitiva", se preferisci posta così la
questione, infatti ho scritto: pensare una tecnica, o una domanda sulla
tecnica, al di là dell'uomo è una insensatezza. Per spiegarmi meglio: non
esiste l'uomo senza la sua tecnica. Dire "della relazione uomo, tecnica e
innovazione" secondo questa tecnologia della parola (nella sua pratica
orale o di scrittura) è una insensatezza, qualsiasi tecnica con la sua pratica
tecnologica arriverà sempre per mezzo dell'uomo con l'uomo.
Dimenticavo: quando, da uno "strumento"
(tecnologia), emerge l'umano? Altrimenti dal discorso che hai proposto al tuo
pubblico non si apprende quello che, opportunamente, solleciti quando parli di
"esseri umani" e "trascendenza" . P.S. in luogo di "Al
di Là" io preferisco dire "A di qua per differenza".
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