venerdì 22 settembre 2017

ZIO PAPERONE E’ UNO CHE S’INCAZZA FORTE.



ZIO PAPERONE E’ UNO CHE S’INCAZZA FORTE.

Nella biblioteca del mio nano-loft modenese ci sono alle pareti, appesi come prosciutti, 5000 libri circa (ci sono anche i quadri, pochi per la verità, peraltro non assoluta, e i libri, forse, sono un poco meno)
..."...li hai letti tutti?"(voci dal coro)
“...chi se ne frega!”(voce che sfancula il coro).
E lo so!, come inizio è un poco debole, moscio moscio, ma tant'è.
La verità è che zio Paperone è uno che s'incazza forte: medita, rimugina e rumina, rumina e rimugina e, "mumble..., mumble...", carica la bombarda, s'infila la vecchia tuba e ...bhè il resto lo sapete.

. L’antefatto.
Sfrucugliavo (anche sfruculiare va bene), pochi giorni addietro, su LinkedIn e, sfruculia che ti sfrucuglia, m’imbatto in alcune immaginette votive, prontamente arredate dai vari editori dei relativi “pulse”, sulla nitida bellezza della tecnologia e la grandezza di questa moderna invenzione: che stupore i "nativi digitali" di qua, i "millenials" e "pirla 2.0, 3.0, 4.0” di là; per non dimenticare poi gli "eroi" della banalità che stanno un po’ qua e un po’ là.

TECNICA – LAVORO – PAROLA - LAVORO.
TECNICA – LAVORO – PAROLA - LAVORO.
TECNICA – LAVORO - PAROLA - LAVORO.
TECNICA – LAVORO – PAROLA - LAVORO.
TECNICA – LAVORO – PAROLA - LAVORO.
E POI… L’ESSERE UMANO.

Il mantra-martello picchietta sui coglioncini di cristallo.

. La scimmia nuda.
Inforco i miei occhialoni di tartaruga (Bombay Book Club, Paul Frank, “oculi de vitro cum capsula” nero, arancione e beigeSSS su plastica) e mi pro-jecto a capofitto nelcontest dei content; leggo avidamente alla ricerca dei contenuti di senso dei “pulse” (ammetto che qualche d’uno è di rilievo); leggo, leggo ancora, rileggo un’altra volta: il nulla, a parte le parole naturalmente.
E già, le parole...la parola è una tecnica (tèchne) pensola lingua una tecnologia. (n.d.r. so che qualche "anima bella" freme dalla voglia di farmi presente la lezione di M. McLuhan su “medium e messaggio”)
La parola di tutti i giorni, di tutti i secoli prima di noi, è una tecnica (la parola ci “fa”, come dire, ci pro-duce da sempre, da quando l’uomo è il medium-parlante) e non semplicemente nel senso banale, cioè comune, di modalità operativa; la parola è una tecnica in quanto fondamento di una tecnologia: la lingua appunto (l’ho già detto? ehhhh vabbé, ho l’alzheimer!).
Mumble..., mumble...; quindi, se la cosa sta accussì, il punto, mi pare, sul quale “sculacciare” la faccia ai guru guru è questo: amici cari, non si da una tecnica, o una domanda sulla tecnica, al di là dell’uomo, perché semplicemente non c’è.
Perché dico sta robetta da nulla?
Perché la dicotomia: qui l’uomo, laggiù la tecnica, celebrata, più o meno esplicitamente, nei “Pulse”, nei “TED” nei “Bip” o nei “Bop”, è una minchiata; ergo: non si da una tecnica, o una domanda sulla tecnica, al di là dell’uomo, perché non c’è.

NON ESISTE L’UOMO SENZA LA TECNICA!
(n.d.r. Non foss’altro perché è lui che la produce ovvero l’uomo produce se stesso insieme alla sua tecnica, ma questa è roba per fighi pazzeschi, sorvoliamo per il momento)

. La scimmia nuda s'infila le mutande.
Ora, mi rendo conto che chi si prendesse mai il disturbo di leggere quel che qui scrivo potrebbe domandarsi: dunque?
Dunque, amico caro, fai bene attenzione che la stragrande maggioranza dei guru-guru parlanti per il tramite di questo net-work, LinkedIn appunto, parla, per lo più, senza sapere di parlare (per la verità non sa nemmeno quello che dice quando è parlata dal linguaggio, direbbe quel gran pezzo di figo di Heidegger): e scrivono pure libri!
Naturalmente scrivere libri va benissimo, le biblioteche ne sono piene; persino io, come scrivevo sopra, ho una biblioteca poderosa... si, si, quella del nano-loft modenese.
In ogni caso la robetta da nulla di cui scrivo, come un qualsiasi scemetto di questo mondo, ha le sue fondate ragioni anche nel breve confronto scritto che ho avuto recentemente con Ivan Ortenzi, qui su LinkedIn, in merito al suo intervento tenuto al #BIpFF17 presso il milanese Palazzo Mezzanotte. (Cfr. https://youtu.be/czXJNa0ljao)
Il contesto è grossomodo quello che segue:
Ortenzi, dopo una lunga introduzione a vocazione storiografica, indugia per un istante sul da dirsi per poi sfoderare una sciabolata concettuale che avrebbe lo scopo di tagliare di netto il “fare” dell’uomo tecnologia da sempre, relegando, quindi, tutto quel che c’era prima in una indefinita oscurità primordiale, per sostenere che “all’improvviso avremmo a disposizione dei (n.d.r. oKKio a sta parola) dispositivi” tecnologici il cui obiettivo sarebbe migliorare le nostre “performance” cognitive (n.d.r. e la madonna!, ma dai?), cambiamento al quale l’essere umano non è abituato perché ha sempre mantenuto la famosa “Ars” romana come caratteristica unica del nostro vivere su questo pianeta.”.
Ergo, continua Ortenzi, “in maniera manifesta, da adesso in poi, dovremmo confrontarci con qualcuno o qualcosa che potrebbe pensare meglio di noi.”; tutto questo è, a suo dire, molto pericoloso.” (n.d.r. vai col liscio!)
Ora, onde evitare che mi decollino le palle nell’empireo, pongo la questione cosi: chi ha disposto i dispositivi tecnologici atti a migliorare le nostre “performance” cognitive?
Quale la sua cognizione di causa?
E come si è disposto, egli stesso, rispetto alle operazioni che sarebbero in atto al fine del cambiamento epocale degli abiti mentali dei suoi simili, ovvero, alla fine di tutto, il nostro “DIVINO ARTEFICE” lo sa che non si da una tecnica al di là dell’uomo che preceda l’uomo ovvero che lo prescinda?
E’ evidente anche al mio nipotino di due anni che pensare così, prima delle mie domande ingenue, è una superstizione tipicamente umana, troppo umana, giusto per evocare Nietzsche.

. L’uomo e la tecnica dunque.
Che ARGOMENTONE! Già, ma quale uomo?, quale uomo e che cosa è l’uomo, cosa lo definisce ovvero chi lo definisce? Quali gli “strumenti” per definirlo?, direbbe Kant.
Ora, se guardiamo bene, chi pone tali quesiti all’uomo è un uomo, il quale, appunto, s’interroga a sua volta e pone le sue domande a partire dalla tecnica, tipicamente umana, del parlare per il mezzo dello strumento o se preferite del dispositivo della parola, ovvero mette in atto la più tipica delle tecnologie dell’uomo: la parola e la sua lingua.
Per inciso, giusto per evitare che i soliti “folletti della foresta” se ne escano con proposizioni sciocchine nel tentativo di insinuare un qualche recondito odio da parte del sottoscritto verso il processo tecnologico in atto, si sappia che non ho alcuna resistenza verso il processo tecnologico in atto (in atto peraltro da quando l’uomo si è tirato diritto sugli arti inferiori liberando mani e bocca), processo del quale anche io, evidentemente, faccio parte come corpo agente, come corpo strumento con tutte le sue proiezioni/protesi esosomatiche; protesi/proiezioni alle quali conferisco una protensione di senso (tutti lo facciamo) per il medium di un transfert esterno, autorappresentativo, che è lo strumento o se preferite il dispositivo di relazione esosomatica: il linguaggio!
Il linguaggio è una protesi esosomatica edificatrice di senso per il medium dei suoi segni/simboli.
Qualsiasi strumento o dispositivo esosomatico è rappresentazione agente del mondo: lo è producendo effetti nel mondo e, per effetto del suo rimbalzo, traendo effetti dal mondo.
Dunque, miei cari adoratori di feticci apotropaici, alla radice del lavoro sta sempre la tecnica/tecnologia parola con la sua lingua e tutti i suoi possibili linguaggi: altro che Lewis Mumford!

P.s.: riporto, qui sotto, per dovere di cronaca, lo scambio avuto con Ivan Ortenzi cui faccio riferimento nel post.
O.: Riscoprire l'importanza di essere umani per gestire singolarità ed età dei robot è veramente 0.0
T.: Ivan Ortensi, sulla postura del pensiero che sottende al concetto "essere umani 0.0, 0.1, 0. nulla, avrei le mie perplessità: quale uomo? Che cosa è l'uomo, cosa lo definisce ovvero chi lo definisce? Quali gli "strumenti" per definirlo? La tecnica, ed il lavoro che la costituisce, non è un evento o fatto recente ma antichissimo. La "parola", giusto per produrre un contenuto di senso, è una tecnica e lo è in quanto fondamento di una tecnologia: il linguaggio appunto; pensare una tecnica, o una domanda sulla tecnica, al di là dell'uomo è una insensatezza, non esiste una tecnica prima dell'uomo. Sostenere che arriverà una tecnologia che migliorerà le capacità cognitive di ogni essere umano è privo di senso tanto quanto sostenere che l'uomo non vi sarebbe abituato: la presunta tecnologia atta a migliorare i processi cognitivi umani è, guarda caso, il risultato prodotto di processi cognitivi tipicamente umani , processi che già la trascendono in quanto la precedono e la fondano. Pertanto la proposizione "...qualcuno/qualcosa (a.i. suppongo) che potrebbe pensare meglio di noi" pensa, si fa per dire, sempre a partire da chi l'ha pensata e messa in atto ovvero un essere umano. A chiosa di quanto sopra ribadisco: pensare una tecnica, o una domanda sulla tecnica, al di là dell'uomo è una insensatezza. Un caro saluto Alessandro
O.: Caro Alessandro, dissento totalmente. Mi permetto di dire che le tue osservazioni attengono proprio a quel modello cognitivo lineare che sarà messo il profonda crisi da AI, singolarità e nuove macchine senzienti. Per capire tutto questo dobbiamo trascendere il modello lineare. Siamo capaci di farlo, lo abbiamo fatto con la teoria della relatività relativa e con la meccanica quantistica solo per citare due esempi recenti. Mi permetto anche di dire che " non succederà mai" è proprio quello di cui non abbiamo bisogno ora. Ti suggerisco anche di approfondire alcuni elementi di analisi della relazione uomo, tecnica e innovazione leggendo il prezioso lavoro di Lewis Mumford. Ad maiora.
T.: Ivan grazie della sollecita risposta. Inanzi tutto in particolare cosa mi suggerisci di rileggere (ancora?) di Munford? A seguire: legittimo dissentire, in parte o nella totalità, da una posizione intellettuale altra dalla propria (è cosi?) salvo poi argomentare ex professo, rispetto alla posizione non condivisa. La questione sollevata è l'uomo (con la sua tecnica e quindi i suoi prodotti); io ho domandato: quale uomo? Che cosa è l'uomo, cosa lo definisce ovvero chi lo definisce? Quali gli "strumenti" per definirlo? Per inciso è, quella che precede, la domanda che sottende tutte le operazioni concettuali che conducono il caro Einstein alla sua Teoria della Relatività (non solo quella naturalmente), il quale, per altro, aveva perfettamente chiaro che la "parola" (logos) è una tecnica; io non ho posto la questione della bontà o meno della tecnica, io ho posto in evidenza che distinguere l'uomo dalla tecnica è un errore pericoloso oltre che una insensatezza "cognitiva", se preferisci posta così la questione, infatti ho scritto: pensare una tecnica, o una domanda sulla tecnica, al di là dell'uomo è una insensatezza. Per spiegarmi meglio: non esiste l'uomo senza la sua tecnica. Dire "della relazione uomo, tecnica e innovazione" secondo questa tecnologia della parola (nella sua pratica orale o di scrittura) è una insensatezza, qualsiasi tecnica con la sua pratica tecnologica arriverà sempre per mezzo dell'uomo con l'uomo.
Dimenticavo: quando, da uno "strumento" (tecnologia), emerge l'umano? Altrimenti dal discorso che hai proposto al tuo pubblico non si apprende quello che, opportunamente, solleciti quando parli di "esseri umani" e "trascendenza" . P.S. in luogo di "Al di Là" io preferisco dire "A di qua per differenza". 





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