Dell’individuus.
Caino o l’indicibile esperienza dell’abbandono all’U/uni-cum.
Caino nasce dall’indicibile esperienza
dell’abbandono[1],
tuttavia questa esperienza non è ancora la sua. Se lo prendiamo alla lettera,
biblicamente intendo dire, Caino è, ineluttabilmente, l’esclamativo principiante
dal ventre materno di Eva (per traslato madre di tutti gli uomini): ”Ho
acquistato un uomo grazie al Signore!”.
Questo è il significato proprio del nome
Caino; ma cos’è un nome? Come significarne
con proprietà il corpo, ed ancora, quale è il suo corpo?
Caino, il primo genito, è definito
in Genesi come lavoratore del suolo (sarà, poi, da quel suolo che il sangue del
fratello re-clamerà giustizia presso il Dio/Uni-cum). Dunque egli è un
trasformatore, geo-grafo e geo-metra, della terra/suolo, madre sin dalle sue
inalienabili origini; anch’egli, come lei, recherà sul proprio volto il segno
dell’abbandono dall’Uni-cum[2].
D’ora in avanti Caino ed il suo
segno saranno un tutt’uno in-divisus;
la tracciabilità del segno, su quel volto abbattuto, sarà il solco originario che porterà Caino lungo tutta la
storia dell’umanità, disegnandone, giorno dopo giorno, il carattere uni-cum,
profondo ed in-separabile, della sua (umana) esistenza. L’inseparabilità del
volto di Caino dal suo segno è dunque un visus
nel senso originario di vid-sus cioè
viso, sguardo e metonimicamente[3]
figura, immagine.
Qui viso e vista si confondono,
compenetrandosi e reiterandosi, infatti il segno è impresso in bella vista sul
volto di Caino, il suo segno è l’abbattimento; questo, e non altro, lo
indicherà agli uomini come colui il quale si è diviso dall’Uni-cum, ed a causa
di questo “suo” segno nessuno potrà ucciderlo senza subire la vendetta sette
volte[4]!
L’esperienza dell’abbandono, dunque,
sembra prendere vita dall’azione dell’alzarsi della mano di Caino, contro il corpo
del fratello. E’ questo il gesto[5],
l’alzarsi della mano per abbattere, che in senso più proprio principia il segno
della morte nell’abbattersi sul corpo vivente dell’altro da se, come ancora indivisus.
Questo gesto determinerà la soglia
che segnerà in eterno Caino e la sua discendenza.
Dunque è a partire dal suolo, il
quale ”ha aperto la bocca per ricevere il
sangue di Abele”, che scaturirà la voce del Verbo[6],
che grida giustizia al cospetto del Dio/Uni-cum: da qui comincia la separazione
che distanzia Caino dal visus
dell’Uni-cum.
L’abbandono è inteso, quindi, come
separazione (de/visus) indefinita e tragica, dall’altro quale riflesso[7]
dell’Uni-cum, come participio del sé nel senso, però, dell’azione che partecipa
della natura stessa dell’essere dell’altro: in questo senso è suo participio.
L’abbandono, in quanto tale, quindi,
invariabilmente segnato, sin dalla sua origine, come stato dell’essere uni-cum/intra-mondano
(Um-welt) nel modo della relazione, anche violenta, della carne; infatti Caino
alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise.
Dunque è proprio qui che l’individuus si separa dall’uni-cum (l’altro
da sé, Abele) che gli è imprescindibile e, in quanto participio, non potrà che partecipare
della natura stessa dell’omicida, Abele non è altri che Caino.
E’ a partire da questo evento/soglia
che Abele, l’in-dividuus[8],
nel suo ad-vocare pro-vocante dal suolo giustizia, al cospetto dell’Uni-cum, di
fatto si proclama complice, seppur passivo, del suo assassino.
Il gesto vocale del chiamare dal
suolo è qui, per eccellenza[9],
il tema del ventre materno che, dal di dentro, alimenta l’individuus: esso è il
seme che germoglia e da frutto. Frutto che sta indivisus dall’albero della Vita[10]
e dall’albero della Conoscenza del bene e del male, ma pronto a cadere al suolo
(abbattuto ed abbattentesi) per venirne nuovamente riassorbito e risolto,
indissolubilmente, indivisus/individuus.
Qualcosa di raro e di eccellente era
scaturito dal suolo, per essere plasmato dall’Uni-cum a sua immagine e
somiglianza, esso gli appartiene, come null’altro nel mondo creato: l’umano,
l’individuus.
Ecco l’uomo! Il nominante, colui al
quale l’Uni-cum ha condotto tutti gli esseri viventi, per vedere come li
avrebbe nominati, chiamandoli così al loro essere nominati[11],
definitivamente.
Bisogna, tuttavia, prestare qui
molta attenzione in quanto nessuno mai chiamerà dal suolo (soglia primigenia e
inalienabile dei per-venienti al mondo) l’uomo ad essere individuus con l’Uni-cum,
se non Dio stesso; solo a Lui, a nessun altro, spetta questo diritto originario
di plasmare l’uomo dal suolo, affinché divenga un essere vivente, soffiandogli
nelle narici un alito di vita. Una realtà sola nel suo genere (lo abbiamo già d-enunciato
altrove in queste pagine), che non ha altri della sua specie, un essere umano
che è un indivisus (uni) e che pertanto, non può essere diviso senza
perdere la propria natura d’individuus[12].
Ma, nel contempo, è anche parte di
una realtà collettiva (cum), famiglia[13],
comunità, mondo (Welt) che contribuisce a plasmarlo, confermandolo, nella
evidenza della sua irripetibilità.
Una grande tensione qui si prepara quale
struttura portante di tutta la civiltà giudaico-cristiana che, a me pare, si perpetuerà
consumandosi in molta parte della mio-dialettica[14]
nietzscheana dello Zarathustra[15],
consegnandosi così, definitivamente, al novecento ed alla post-modernità[16],
in tutta la sua grandezza tragica.
In-dividuus/u-nicum l’uomo sta solo,
dunque, sul suolo della terra che in quanto madre, nonostante egli uccida ancora
e ancora, in un reiterarsi continuo dello spazio e del tempo della storia umana,
lo accoglie, seppur lacerato, in-dividuus ed u-nicum.
L’uomo/u-nicum sta con il volto lacerato ed
in-divisuus, teso verso l’Uni-cum che lo tra-figge a se.
Quando Caino pensa contro l’U/u-nicum inarrivabile
è ancora individuus indivisuus; infatti non ha ancora alzata la mano contro il
fratello per abbatterlo, in quanto, quest’ultimo, non lo ha ancora incontrato e
pro-vocato[17];
Abele, effettivamente, non gli è ancora complice.
Tuttavia è opportuno osservare, qui, che il
pensare contro l’U/u-nicum non è ancora un pensare oppositivo, alla volontà
dell’Uni-cum. Caino è ancora libero di pensare contro, in quanto, questo
pensiero, sta sulla soglia dell’in-contro con l’Uni-cum: nonostante Caino sia
abbattuto in volto a causa della sua irritazione contro l’U/u-nicum, Dio,
l’Uni-cum gli parla in-contrandosi con lui: “Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene,
non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato[18]
è accovacciato alla tua porta (sta, dunque,
in procinto di solcare la soglia, andare oltre la linea che è, della dimora, il
segno diffidante, da ciò che dimora non è); verso
di te è il suo istinto, e tu lo dominerai[19].”
Qui il Dio/Uni-cum non diffida Caino dal pensare ma lo invita a restare, nel
suo pensare contro L’Uni-cum, a partire proprio dal suo suolo di opposizione,
affinché il con-flitto, così come si è generato, si riassorba. L’U/u-nicum
vuole che il pensare contro di lui sia un pensare fino in fondo, fino alla
radice, scavando a fondo quel suolo (solo l’individuus/Caino può farlo, in
quanto lavoratore del suolo, geo-grafo e geo-metra della terra) su cui si
accovaccia, per così dire, il radicamento stesso del peccato insieme all’essere
dell’individuus originario.
Precisamente qui sta, lo abbiamo scritto
sopra, la specificità più prossima all’uomo/in-dividuus, a partire da questo
momento in cui quella specificità stessa dell’uomo/individuus è sottratta all’Uni-cum,
all’ambivalenza delle sue espressioni più originarie.
Il segno sul volto di Caino non dice, in se
stesso, che egli è necessariamente carne da redimere, in quanto la carne/corpo
di Caino è già per sempre una carne unica redenta, in conseguenza delle sue
origini[20],
così come l’impronta della sua vita solitaria[21],
in quanto essa sta nell’abbandono dall’U/u-nicum.
Il corpo “signato”
dal debito, contratto da Caino, sembra contrarsi, contrapponendosi di fatto al segno
del debito. Ma è proprio così che stanno le cose?
Proviamo a riprendere le mosse dalla
originaria inalienabilità della terra/suolo e domandiamoci: nei confronti di
chi Caino contrae il debito? Del Dio Uni-cum, di Abele (u-nicum), del corpo
della famiglia originaria o della terra/suolo, della quale egli è lavoratore e
al medesimo tempo custode? Dunque, la terra/suolo, rispetto a chi o a cosa
starebbe in una relazione di inalienabilità? E ancora, perché è tale questa
condizione della relazione?
[1] Quest’abbandono è una con-trazione.
[3] La metonimia (pronunciabile
tanto metonimìa quanto metonìmia, dal
greco μετα, "attraverso", e ονομα, "nome") è
una figura retorica che consiste nel
sostituire una parola con un'altra che abbia
con la prima una certa relazione, ad esempio di contiguità logica o materiale.
[4] Genesi, 4,
14-16
[5] Di questo
gesto Dio/Uni-cum se ne riapproprierà, reclamandolo per se, su di se in Cristo
cfr. Giovanni, 18, 19-24 infine sulla croce Cristo compirà l’indicibile
esperienza dell’abbandono all’Uni-cum ineffabile. Cfr. Salmo, 22, 2
[7] Genesi, 1,
26
[8] Il segno
“–“ tra in e divisuus decide la perdita della relazione con l’Uni-cum.
[11] Genesi: 2,
19-20
[12] In-dividuus:
lat.INDIVIDUUS comp. della partic. IN per non
e DIVIDUUS per divisibile, separabile.
Ciò che non si può dividere; tutto ciò le cui parti non possono dividersi,
senza che perda la sua effigie, il suo carattere: e quindi Tutto ciò che ha una
personalità, una esistenza tutta sua speciale.
[13] Genesi: 4,
17-24
[14] Mio-dialettica:
Gr. Mys genit. Myòs, muscolo – neologismo per traslato, dialogo, discorso
muscoloso o robusto e talvolta aggressivo.
[15] Nietzsche:
Così parlò Zarahustra, prologo 3, 5-8 e 4, 8-1 ed. Adelphi 1993
[16] A. Mina:
Nietzsche e la storia della filosofia, ed. Mursia 2002
[17] Genesi 4, 8
[18]
Cioè
il venir meno al dover, necessariamente, essere autenticamente.
[19] Genesi: 4,
6-7
[20] Genesi: 1,
27 e 2, 23-24
[21] Genesi: 4,
10-12

